Attualità

Mezzaquaresima, tempo di calzone e pignatta

Adriano Failli
Il calzone molfettese
Continua la nostra rubrica di avvicinamento alla Pasqua. In questo secondo appuntamento non possiamo che parlare del cibo tipico della Pasqua molfettese
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È mezzaquaresima</strong>; le Quaréndéne, appese nelle vie del centro antico, cominciano a perdere le piume conficcate nelle arance, a scandire le settimane che mancano alla Pasqua, i primi raggi di un sole che profuma finalmente di primavera riscaldano la città, mentre le campagne cominciano ad essere occupate per le prime scampagnate di stagione.
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nIl molfettese doc ama vivere questo giorno come una festa alla primavera, recandosi in campagna con grosse “ruote” di calzòene e rompendo la pegnète, una grossa pentolaccia riempita di frutta secca di stagione.
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nL’aspetto culinario è uno dei tanti che investe la tradizione pasquale. Se infatti il calzone, a differenza delle frittelle tipiche del Natale, è il piatto immancabile del mercoledì delle ceneri e della mezzaquaresima, tradizionalmente interruzione del digiuno quaresimale, assai peculiari e unici rispetto al resto dell’anno sono i piatti tipici della settimana Santa e del giorno di Pasqua.
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nSi tratta in particolare di piatti fatti in casa, molti di essi molto semplici ma allo stesso tempo gustosi, pratici per essere mangiati “al volo” durante la processione o nelle notti del triduo pasquale.
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nEra usanza antica soffermarsi nella notte dei sepolcri, in attesa dell’uscita dei cinque misteri, nelle caffetterie del borgo a sorseggiare la vénézeiéne, che molti potrebbero confondere con il dolce di sfoglie alla crema, ma che in realtà è un appellativo tipicamente nostrano della cioccolata calda, anche se in realtà i motivi di tale nome sono sconosciuti.
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nNon ha bisogno di presentazioni invece ‘u pezzarìedde, ancora oggi consumato con piacere nelle sere della settimana pasquale, magari ancora nostalgicamente da alcuni confratelli come pausa nei vari tratti delle processioni. Si tratta di una pagnotta fatta in casa, cotta storicamente dal fornaio cittadino e riempita o di recott’ascquénde (ricotta forte) e alisce salate (alici salate) oppure, per chi poteva permetterselo, di tonno.
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nIn altri tempi, comune era anche il consumo di taralli, i tipici scaldatelli pugliesi, oppure quelli dolci di zucchero, spesso venduti ai margini della processione, dove ora è presente il venditore di palloni.
nSuperato il digiuno penitenziale della settimana Santa e della Quaresima, al centro del pranzo tipico pasquale non può mancare ‘u benedìtte, l’agnello con le uova, spesso condito con piselli, che rappresenta il piatto forte della resurrezione oltre all’immancabile scarcédde, dolce tipico di pasta frolla riempita di marmellata e spesso “condito” da confetti o uova colorate.
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nSebbene all’apparenza più povero di quello natalizio, il “menù” della Pasqua è altrettanto sacro per il molfettese doc, che non può rinunciare ad uno di questi piatti, anche se molti di questi sono ormai scomparsi, assorbiti dal tempo.

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Il ricordo di certe tradizioni, dai più giovani non vissute, resta però vivo nei racconti dei nonni, di chi difende strenuamente la cultura popolare, mentre le più importanti tradizioni restano vive, come appuntamenti immancabili per questa città.

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giovedì 23 Marzo 2017

(modifica il 30 Luglio 2022, 5:14)

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francesco facilone
francesco facilone
7 anni fa

finalmente un articolo didattico e completo che posso far leggere ai miei amici di Bari continuate con questa opera di divulgazione per i “non molfettesi ” nel mondo