Cultura

Luci a Molfetta. La magia di Roberto Vecchioni

Luigi Caputi
Roberto Vecchioni in Cattedrale
Ieri l'evento inaugurale della stagione della fondazione Valente
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Luci, non solo a San Siro. Luci ieri sera nella Cattedrale di Molfetta. Luci ovunque, sempre e comunque, necessarie per poter amare, per potersi innamorare della vita. È iniziata una lunga estate culturale e musicale nella nostra città.

Roberto Vecchioni è stato il protagonista dell’anteprima all’ottava rassegna “Luci e suoni a Levante”, organizzata dalla fondazione Valente. Il celebre cantautore lombardo ha alternato momenti di dotta conversazione a performance canore da brividi.

Al suo fianco, nella veste di intervistatore e interlocutore, ha contribuito all’elevato livello della serata Cosimo Damiano Damato, regista e sceneggiatore pugliese. Il primo tema affrontato è stato il ruolo del soprannaturale, del divino, dello spirituale nella vita umana. “Un ruolo in cui è necessario credere. Ma attenzione – ha avvertito Vecchioni – Credere non significa sistemarsi, privarsi di ogni preoccupazione, porre fine ai travagli. Credere è solo l’inizio, cui segue il lottare, lo sbattersi per trovare quel qualcosa in più, quella luce indispensabile alla vita”.

Questa concezione del mondo non è esclusiva del cristianesimo. Un Dio, unico o molteplice, entità ordinatrice e consolatrice, è risposta ad un bisogno antropologico, universale, da sempre esistito. Già Sofocle, quattrocento-sei anni prima della nascita di Cristo, concludeva la sua tragedia “Edipo a Colono” all’insegna della speranza ultraterrena. Persino il personaggio tragico e sventurato per eccellenza, il cieco e disgraziato Edipo re, può vedere qualcosa che brilla oltre la comune percezione sensoriale.

Nella vita di ognuno c’è una chiamata dall’alto, un ti mellomen korein (“cosa aspettiamo ad andare via?”). A questa chiamata si può docilmente ubbidire, insensibilmente restare indifferenti, titanicamente opporsi. Quest’ultima è la scelta dell’uomo protagonista della canzone “Stazione di Zimma”, eseguita dal cantautore milanese con l’accompagnamento della chitarra di Massimo Germini.

L’attaccamento alla vita terrena è una forza impossibile da annullare, è la forza di chi ha trovato la felicità. “La felicità – sostiene Vecchioni – è tutto ciò che viviamo: gioia, tristezza, dolore, piacere, speranza, illusione, desiderio, delusione. La stasi edenica è una condizione noiosa, insopportabilmente disumana. L’umanità nasce dall’errore, dal peccato di Adamo ed Eva annoiati da una condizione statica, piatta, apatica. Essere felici equivale a non abbassare la testa di fronte alla realtà della nostra vita”.

A coronamento di queste parole, l’artista si è esibito in “Figlia”, pezzo dedicato alla sua Francesca: elogio della tenacia, della caparbietà, del non piegare la testa di fronte al destino. “Il destino non esiste, e spesso diventa un pretesto per chi non ha voglia di lottare. Il vero grande nemico dell’uomo non è il destino, ma il tempo”.

A questo punto Vecchioni ha chiarito la distinzione tra tempo orizzontale e tempo verticale. “Il primo è quello da combattere: ci perseguita come passato; ci tormenta come presente; ci intimidisce come futuro. Dovremmo essere capaci di annullarlo e trasformarlo in tempo verticale, in attimo eterno. I poeti, i pazzi, i bambini, i geni, sbugiardano il trucco del tempo orizzontale. Vedono più volte qualcosa, eppure la vedono sempre come se apparisse per la prima e ultima volta. S’innamorano di più donne, sentendo ogni donna come l’unica”.

Il cantautore lombardo ha in particolare esaltato la grandezza dei poeti, veri e propri custodi della vita, padroni del tempo e cittadini dell’eternità. Fernando Pessoa, il più grande del Novecento a parere di Vecchioni, ha ispirato “Le lettere d’amore”: esibendosi in quest’ultima canzone, Vecchioni ha autenticamente deliziato il pubblico molfettese. Emozionante è stata la performance per “Una rosa blu”, dedicata dal cantante al figlio ammalato di sclerosi multipla. “La rosa blu è un fiore che non può esistere, metafora dell’impossibile – ha detto Vecchioni – Paradossalmente credo che l’impossibile sia la forza più d’ogni altra capace di farci restare in vita. L’arte deve partire dalla natura per puntare all’impossibile. Soltanto in questo modo travalicherà il tempo e vivrà in eterno. Arte può essere qualunque atto di leggerezza e spensieratezza, di indipendenza dal peso del mondo in cui si vive: il teorema di Fermat, una finta di Messi, una capolavoro musicale”.

Dopo “Chiamami ancora amore”, vincitrice del Festival di Sanremo 2011, Vecchioni ha inscenato “L’uomo che guarda il cielo”, canzone dedicata a suo padre, descritto come “figura stravagante, istrionica, folle, di certo l’uomo più innamorato della vita che abbia mai conosciuto”. Damato ha quindi elogiato l’eclettismo e la genialità dell’artista milanese: ”Roberto mette insieme il coraggio di Pasolini, la comicità amara di Totò, la malinconia autoironica di De Filippo, l’impegno civile di Dario Fo”. La conclusione della conversazione è stata ispirata dai versi di “La vita non è uno scherzo” del poeta turco Nazim Hikmet.

Vecchioni si è esibito prima in “Sogna ragazzo sogna”, quindi in “Luci a San Siro”</strong>; si è persino cimentato nell’interpretazione di due celebri canzoni napoletane. Il nuovo presidente della Fondazione Valente, Rocco Nanna, ha premiato il cantautore. È stato invitato a salire sull’altare anche Tommaso Minervini, fresco di elezione a sindaco. Minervini era sindaco anche tredici anni fa, nel 2004, nell’ultima occasione in cui Vecchioni si esibì in concerto a Molfetta. Si trattò del primo evento organizzato dalla neonata fondazione Valente. Mere coincidenze, scherzi del destino, potrà dire qualcuno. Luci allora, ieri, oggi, sempre, penserà chi non crede nel fato.

martedì 27 Giugno 2017

(modifica il 30 Luglio 2022, 1:55)

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