L'intervista

Intervista a Caparezza: tra nuovo cd e “mamma” Molfetta

Adriano Failli
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Intervista a Caparezza: tra nuovo cd e "mamma" Molfetta
"Un terzo concerto a Molfetta? Qualcosa si dovrà fare..."
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Un vero e proprio bagno di folla. Questo è ciò che ci ha accolto nella serata di ieri, in via Melo a Bari. Si urla, si canta, si aspetta in coda. La musica in sottofondo è quella di “Prisoner 709”, l’ultima fatica di Caparezza. Il rapper molfettese è in arrivo alla Feltrinelli per la quinta tappa dell’instore tour, i firmacopie dell’ultimo disco uscito il 15 Settembre.

Solo in questi momenti si percepisce realmente la fama raggiunta da Michele Salvemini, che solo pochi anni fa provava e registrava i suoi pezzi in un vecchio scantinato nel centro di Molfetta, mentre oggi i suoi lavori vengono mixati in uno dei più importanti studi di Los Angeles.

Sono circa le 18 quando un altro grido dei fan scuote la libreria barese. La testa riccia più famosa della musica italiana è arrivata e ci accoglie in tutta la sua simpatia, sorridendo e con un insolito paio di occhiali.

“Ai fan non ci si abitua –ci confessa Caparezza – ad un certo punto pensi che il successo debba scemare. Con questo album pensavo di aver fatto una scelta azzardata”. In effetti “Prisoner 709” è un disco insolito, che sorprende gli ascoltatori. Salvemini gioca con i suoi due “io”: Michele e Caparezza. Scherza su quella che definisce una specie di “bipolarità” e ammette che in questo settimo lavoro la critica sociale ha ceduto il passo ad una riflessione più personale. Spazio anche ad innovazioni stilistiche, che l’autore non esclude possano anche aprire a qualche novità in futuro.

Poi si parla di Molfetta, “una madre” per il rapper, che non si sente campanilista, ma non può ignorare il suo legame con la città che lo ha allevato: “I molfettesi sono un po’ criticoni – ci dice sorridendo – io mi sento un po’ così”.

Molfetta però non può essere una prigione, come quella del suo disco, non è infatti il contesto ad imprigionare, anzi per Capa si tratta di un alibi: “Se vuoi fare le cose le fai, non si può dare sempre la colpa ai massimi sistemi”.

Prima di salutarci, però, una promessa abbiamo provato a strapparla: un ritorno a casa in grande stile, magari in un concerto, che nella città natale manca dal 2009. In alternativa lui ci propone di cantare citofonando casa per casa, ma uno spiraglio al grande evento lo lascia aperto: “qualcosa si dovrà fare” per tornare a suonare. Magari già nel 2018, davanti a sua “madre”.

mercoledì 20 Settembre 2017

(modifica il 29 Luglio 2022, 23:11)

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