Passione e tradizione

La lunga tradizione della quarantana

Giuseppe De Robertis
La quarantana
Fantoccio più o meno grande, dalle sembianze femminili, è la rappresentazione della moglie del defunto Carnevale
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Ci sono tradizioni, le più sentite, quelle a cui il popolo è indissolubilmente legato da vincoli di memoria, religione e folclore, che hanno resistito e continuano a conservarsi, perlopiù inalterate, all’incedere del modernismo e del cambiamento radicale dei costumi della società. Altre usanze, invece, si sono completamente perdute col passare degli anni e infarciscono ormai la stracolma bottega dei ricordi di un tempo inevitabilmente diverso da quello attuale. Una stagione storica in cui l’incedere del tempo era caratterizzato dagli eventi della tradizione, spesso con una forte connotazione di carattere religioso e devozionale.

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Capita così che, spesso, la memoria storica di alcune costumanze si alteri a causa dell’insufficienza di fonti scritte ovvero fotografiche, e che, addirittura, certi eventi subiscano l’oblio perché condizionati da altri avvenimenti presumibilmente non documentati.

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È il caso della tradizione, diffusa in alcuni paesi della Puglia e di tutta l’area centro meridionale della Penisola, delle Quarantane. La materializzazione della Quaresima, così come avvenuto in varie zone d’Italia per la Maschera di Carnevale, non può essere capitolata in un’origine comune ma, diversificandosi a seconda delle aree territoriali e del contesto rurale o cittadino, racchiude significati analogamente apotropaici e religiosi.

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Molti studiosi fanno risalire la tradizione della Quarantana ai baccanali, rituali antesignani del Carnevale o forse anche ai saturnali. Quel che è certo e comune a tutte le località in cui la tradizione è resistita nel tempo è che la Quarantana, un fantoccio più o meno grande, dalle sembianze femminili, sia la rappresentazione della moglie del defunto Carnevale (viene appesa ai balconi o tra le palazzine dei centri abitati il primo giorno di Quaresima al termine dei riti carnascialeschi). Gli abiti scuri, il viso invecchiato e le fattezze smunte richiamano all’uomo l’astinenza e la penitenza tipici del periodo di preparazione alla Pasqua; ai piedi o sul petto viene posizionata un’arancia o una patata (allegoria della fertilità femminile) con sette piume (comunemente di gallina) conficcate, tante quanti i Venerdì racchiusi tra il Mercoledì delle Ceneri e la Santa Pasqua. Ogni settimana viene sfilata una piuma finché, la Domenica di Risurrezione, rimasta ormai priva di penne, la Quarantana viene fatta scoppiare in segno propiziatorio. Il rituale dello scoppio riporta alla memoria i riti del fuoco mediante i quali il popolo chiedeva intercessione per un raccolto propizio o una buona stagione di semina.

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A Molfetta, sebbene qualcuno confuti la tesi secondo cui quella della Quarantana sia una tradizione di casa nostra, alcune fonti narrano della presenza del fantoccio almeno fino ai primi anni del Novecento. Le Quarantane venivano collocate tra i balconcini o le basse palazzine del centro storico e scandivano il tempo quaresimale alla popolazione che non aveva altri elementi per capire quanto tempo mancasse al sopraggiungere della Settimana Santa. Nel volume “Testimonianze Molfettesi” edito nel 1990 dall’Associazione “Amici della Tradizione e redatto da Mauro Luigi Albanese, Orazio Panunzio e Gerardo de Marco si fa riferimento a questa usanza perduta a memoria d’uomo e si precisa che a causa della mancanza di mezzi di informazione, le mamme solevano mandare i propri bambini sulla strada per rilevare quante penne restavano attaccate all’arancia della Quarantana e quindi quante settimane mancavano alla Pasqua. Della tradizione della Quarantana a Molfetta ci raccontano anche alcuni versi del prof. Giacinto Panunzio tratti dalla sua poesia “Mezza Quaresima”: Penso che dalla magra Quarantana / Appesa ai davanzali / Ed il vento di marzo le sussurra / Si son tolte tre penne e non lontana / La Settimana Santa / Vedrà l’arancio vizzo e senza piume. Sempre Gerardo de Marco nel suo “Dalle Ceneri alla Settimana Santa” ricorda che per la fantasia popolare delle donne molfettesi della città vecchia la fantoccia impersonava la B. V. Addolorata, l’arancia rappresentava il suo cuore e le penne i sette dolori che lo trafissero. In ultimo, si rammenta che anche l’insigne studiosa e dialettologa Rosaria Scardigno inserisce il termine “Quarendene” nel suo vocabolario molfettese – italiano rimandando ai significati già precedentemente esplicati e, di fatto, giustificando la presenza di questa antica tradizione anche nella nostra Molfetta.

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Per un lungo periodo di tempo, complici le vicissitudini belliche, l’usanza di appendere la Quarantana nel centro storico è andata perduta e solo nei primi anni Duemila un gruppo di amici ha tentato di riscoprirla. Dal 2012 invece è l’Associazione Passione e Tradizione che ha restituito decoro alla tradizione dapprima posizionando un solo fantoccio nel centro storico, poi fatto esplodere il giorno di Pasqua e poi, negli ultimi anni facendo allestire le Quarantane ai bambini delle scuole elementari della città perché questi ne comprendano il significato. Negli ultimi quattro anni centinaia di bambini hanno concorso alla costruzione del fantoccio riabilitando questa nostra tradizione. Passione e Tradizione inoltre, negli ultimi anni, attraverso l’impegno volontario di alcune ragazze e sulla scorta di quanto avviene in altri paesi meridionali, realizza delle piccole Quarantane, che sono entrate nelle case di molti molfettesi richiamando il simbolo della tradizione quaresimale locale.

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Quest’anno, per via delle limitazioni imposte dalle misure anti contagio, non è stato possibile realizzare le Quarantane nelle scuole ma alcuni soci di Passione e Tradizione non hanno voluto mancare l’appuntamento con la tradizione ed hanno comunque allestito e installato la Quarantana in via Piazza nella giornata del Mercoledì delle Ceneri. Perché anche questo elemento della storia cittadina non si perda con il passare del tempo.

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domenica 21 Febbraio 2021

(modifica il 28 Luglio 2022, 6:10)

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