Passione e Tradizione

La Quaresima e le tradizioni scomparse

Giuseppe De Robertis
I piatti di grano
Molte sono le forme di devozione quasi scomparse; è il caso, ad esempio, dei piatti di grano che adornavano i Repositori e Sepolcri nelle chiese e che molte famiglie preparavano in casa
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Che questa pandemia abbia ormai stravolto lo stile di vita e la nostra quotidianità è ormai chiaro da tempo. Le abitudini che ci sembravano appiattire il nostro incedere appaiono come ricordi nostalgici cui attribuiamo un valore del tutto nuovo, assai prezioso.

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Così a Molfetta capita, specie in questi giorni di Quaresima, di rimpiangere abitudini consolidate, frutto di riti e rituali antichi. Qualcuno già pregusta il “nuovo corso”, altri, i più scettici e pessimisti, dicono che “ne avremo ancora per molto” facendo storcere il naso a chi invece già attende con ansia di poter riascoltare i concerti a pie’ fermo delle amate marce funebri, rindossare il camice da confratello, rivivere i momenti ricchi di pathos dell’uscita dei Misteri o della ritirata della Pietà.

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Anche quest’anno, nella nostra città, non si terranno i riti esterni, così cari all’animo dei più tradizionalisti, ma infarciti di suggestione ed emozione anche per i cuori dei meno coinvolti. La Quaresima, e più specificamente, la Settimana Santa molfettese occupano un ruolo preminente nella scala delle manifestazioni folcloristiche e devozionali anche per via dei molteplici eventi di interesse che coinvolgono i fedeli e non solo essi.

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Basti pensare che Molfetta è l’unica città, almeno nel circondario, a celebrare l’inizio della Quaresima alla mezzanotte in punto del Mercoledì delle Ceneri. L’uscita della Croce dal Purgatorio scandita dai trentatré rintocchi delle campane della Cattedrale e poi accompagnata per le strade dalla melodia del ti-tè, battezza tutti i riti, liturgici, folcloristici e devozionali che culmineranno con la grande processione del Sabato Santo. In mezzo a questi eventi che vedono la sede dell’Arciconfraternita della Morte principio e fine delle manifestazioni di interesse, i Pii esercizi che si tengono ogni venerdì presso la chiesa di Santo Stefano, sede dell’omonima Arciconfraternita, quelli in onore della Pietà e il Settenario alla B. V. Addolorata ancora presso il Purgatorio, la Passione Vivente organizzata dalla Confraternita di Sant’Antonio, la visita ai Repositori e ai Sepolcri il Giovedì Santo, le processioni, la Via Crucis cittadina curata dall’Associazione Passione e Tradizione alla sera del Venerdì Santo.

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“Ci hanno svuotato della nostra storia e delle nostre tradizioni” si sente ripetere in questi giorni per le strade del centro, assai care ai soliti noti che un tempo affollavano il Borgo e oggi vagano senza meta quasi privati della loro stessa identità.

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Ma se oggi l’animo dei più ferventi tradizionalisti appare in pena, sembra necessario ricordare ai più che molte delle suggestioni tipiche del periodo quaresimale molfettese sono andate perdute nel tempo. E sebbene qualche usanza è stata recuperata ultimamente come quella di appendere la Quarantana per le viuzze del centro storico, è doveroso citare altre forme di devozione quasi del tutto scomparse. È il caso, ad esempio, dei piatti di grano che avrebbero principalmente adornato Repositori e Sepolcri nelle chiese e che molte famiglie preparavano in casa con semi di grano, frumento, lenticchie o lupini per poi confezionarli con carta crespa o nastrini colorati. Negli ultimi anni questa tradizione sembra essere tornata in auge specialmente a motivo dell’abitudine di molti confratelli (in buona parte giovani) di allestire i cosiddetti sepolcri domestici con statuette di terracotta o cartapesta. Tra candele e violacciocche sembrano non mancare i germogli lunghi e pallidi tipici della tradizione.

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Tra gli elementi tipici della tradizione culinaria invece, se da un lato il celebre pizzarello sembra non mancare sulla tavola dei molfettesi nonostante le molteplici varianti, rivisitazioni e sperimentazioni, altri elementi hanno quasi del tutto ceduto il passo alla modernità. È il caso della vénéziéne (la veneziana), cioccolata calda servita in tazza bollente e un tempo consumata prevalentemente dai confratelli nelle notti del Venerdì e Sabato Santo per ristorarsi dal freddo. Non è dato sapersi il perché si chiamasse così ma si pensa che il termine fosse stato introdotto in passato dai marinai molfettesi che solcavano le rotte dell’Adriatico.

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I più anziani ricorderanno senz’altro la presenza del venditore di tarallini zuccherati in prossimità della Bassa Musica all’apertura dei cortei processionali. Tarall’ è zucchere, questo il nome affibbiato al personaggio teneva ben in mostra i suoi taralli colorati per la gioia dei bambini. Oggi questa figura è sostituita dal pallonaio la cui presenza, spesso invadente disturba molto più la vista del corteo di quanto non facessero i venditori di taralli.

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Nelle processioni, poi, ancora oggi, appaiono quelli che in vernacolo vengono chiamati éngelìdde ed engelèdde (angioletti e angiolette), bambini che seguivano il corteo tra una statua e l’altra vestiti con abiti di personaggi biblici: la Veronica, centurioni romani, Maria Cleofe con i segni della Passione, la Regina Elena. Oggi però, a differenza di un tempo, i bambini non incedono più a passo cadenzato (come quello dei portatori delle sacre immagini) e non hanno più a tracolla le appariscenti corone di taralli, che un tempo usavano consumare i marinai durante la pesca a bordo delle bilancelle. Ma se la presenza di queste piccole figure è sopravvissuta all’incedere inesorabile del tempo non si può dire altrettanto dei Crociferi, detti anche Cirenei, che in passato (fino agli inizi del Novecento) aprivano le processioni incedendo a passo lento con dei grossi carichi sulla spalla che si distinguevano a seconda del ceto e dell’attività svolta dal peccatore che in questo modo sperava di espiare i suoi peccati (alberi di bilancelle per i marinai, tronchi d’ulivo per i contadini, stipiti di pietra per i muratori, …).

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E che dire della Mezzaquaresima, il quarto giovedì dopo le Ceneri, momento che tradizionalmente interrompeva le privazioni quaresimali e concedeva, specie ai bambini di divertirsi in allegria tra giochi (i più gettonati l’altalena e la rottura della pignatta) e canzoncine. Immancabile, in questo giorno, la gita fuori porta, spesso per raggiungere la campagna, dove intere famiglie o comitive di amici consumavano l’immancabile calzone.

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Si tratta di riti che, anche se conservati e tutelati, non hanno più lo stesso coinvolgimento di un tempo ma fanno indissolubilmente parte delle tradizioni da conservare, almeno nella memoria della nostra città.

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La tradizione, per dirla con le parole di Orazio Panunzio, è una pianta sempreverde. “Tale pianta appare sempre uguale a se medesima, come se non si rinnovi mai. Ma è un’apparenza illusoria, fallace. Una alla volta cadono le vecchie foglie; a queste altre si sostituiscono; altre gemme, altri rami, rinnovano le originarie strutture. La tradizione cambia sotto i nostri occhi; né sono necessarie potature, blande o drastiche che siano. La forza spirituale della collettività , al tempo medesimo, nutre e rigenera la verde pianta della tradizione”.

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sabato 27 Febbraio 2021

(modifica il 28 Luglio 2022, 6:00)

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