L'intervista

“La guerra, gli aerei bassi, le sirene. E quel 25 aprile che ci rese felici”

Angelo Ciocia
Luigi Tedeschi
I ricordi della signora Anastasia, 76 anni dopo
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Dalla Guerra alla “guerra”. Dal coprifuoco con sirene al coprifuoco con mascherine. Nel mezzo, settantasei anni da quel 25 aprile che liberava l’Italia dal secondo conflitto mondiale. 

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Anastasia, per tutti, Esterina c’era all’epoca. Giovane, adolescente, piena di sogni. C’è anche oggi, vincitrice nella lotta contro il covid nei mesi passati, ora vede i suoi nipoti sognare. Ma non troppo, in attesa di tempi migliori.
n“E’ brutto ricordare cosa succedeva in quegli anni. Ero giovane, aiutavo in casa, ma soprattutto in campagna – ricorda Anastasia Caldarola – Proprio grazie alla campagna, posso dire che non abbiamo mai patito la fame. La terra dà frutto, ti permette sempre di mettere qualcosa a tavola”.

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Non era sempre così. Non era per tutti così. La guerra è anche sinonimo di fame, essenzialità.
n“Avevamo il grano, oliveti, mandorleti. Molti, invece, non avevano tutto questo e oltre quello che passava la tessera della fame, erano costretti a recarsi al mercato del contrabbando di farine e alimenti a Barletta – ricorda – Tanti restavano feriti perché Barletta fu molto più colpita di Molfetta dalla guerra”.

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Ma quando la “guerra” si avvicinava faceva paura a tutti.
n“Ricordo gli aerei bassi, le sirene che suonavano e imponevano il coprifuoco. Io ero giovane, vivevo spensierata, giocavo alla campana, a cavàdde o pòste – le parole di Esterina – Però quando c’era pericolo, molti si rifugiavano a casa mia, in via Cristoforo Colombo, 83. Abitavamo a piano terra e per paura delle bombe che potevano sganciare, il vicinato si rifugiava da noi, da Rituccia, mia madre. Avevamo una casa grande e si stava, si faceva il rosario, si pregava affinchè passasse tutto”.

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Ma la vita continuava tra un pericolo scampato e un nuovo pericolo in agguato. “Io andavo in campagna con mio padre; vicino Torre del Mino, c’erano militari che controllavano la zona. Ma nonostante questo, si era sicuri, addirittura lasciavano me da sola, dopo aver raccolto le olive mentre le portavano al frantoio”, ricorda la signora Anastasia.
nPoi, l’incertezza di quei momenti interminabili venne rotta dall’annuncio.
n“Ricordo benissimo che eravamo a casa mia, sentivamo per caso la radio: un comunicato annunciò la fine della guerra. Per la gioia, vedevi gente che sbatteva i ganci delle porte, eravamo tutti felici”, racconta con le lacrime agli occhi.

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E arrivò dalla guerra anche Luigi Tedeschi, suo sposo qualche anno dopo.
n“Mio marito è tornato dalla guerra sano, era del 1922 e fu chiamato in guerra. Qualche anno prima toccò a mio padre che partì nell’artiglieria da campagna nel 1917 – racconta – A casa mia parlava sempre del cannone 305, quello dove stava lui, questo numero non lo dimenticherò mai. Ricordo pure quello che raccontava mia madre: faceva difficoltà a mettere qualcosa a tavola per i miei fratelli e sorelle più grandi, ma aveva pronto il vestito buono per quando doveva incontrare mio padre”.

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Si viveva di speranza. Sentimento, questo, che accompagna oggi  le nostre lunghe giornate. O corte, per via del coprifuoco.
n“Dopo la grande fame che, per fortuna, non ho visto a casa mia, qualcosa cambiò nell’economia in generale. Anche se ero piccola e non capivo bene, capì che non eravamo più i pochi ad avere la radio, per esempio – prosegue – Sarà così anche adesso, anche se i tempi sono cambiati”.
nÈ proprio la speranza il motore di ogni giornata.
n“Ti senti solo in questo periodo, i familiari non possono venire spesso come una volta, abbiamo le mascherine e a volte non capisci neanche bene. Ne usciremo, siamo rinati dopo due guerre in poco tempo. Sarà così anche adesso”, chiude il racconto Esterina.

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Positività sempre. Durante la guerra, dopo la guerra. In questi mesi bui, nella solitudine e nello sconforto di un esito positivo. Cadere e rialzarsi. Ma sempre con la speranza che le nubi, presto, vengano spazzate definitivamente.

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domenica 25 Aprile 2021

(modifica il 28 Luglio 2022, 3:40)

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