Attualità

I salesiani lasciano San Giuseppe dopo 70 anni

Pasquale Caputi
La chiesa di San Giuseppe
Ieri la messa con cui la comunità ha salutato gli eredi di Don Bosco
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Settanta anni. Tipo l’età di un nonno che passeggia con il nipotino. Tipo il tempo passato da quando, quel nonno, era piccolo come lo è ora il nipotino. Settanta anni sono la vita né breve né lunga di una comunità che può raccontare pagine ricche di storia e di storie. Pagine scritte sin dall’immediato dopoguerra, nel tempo in cui si cercava fiducia e si tentava un nuovo scatto. Soprattutto scacco, anche un po’ matto. Alla guerra e al dolore.

Ci volevano sorrisi ovunque in quei giorni. Anche e soprattutto in quel quartiere periferico e umile, sudato eppur dignitoso che sorgeva tra l’ormai ex mercato ortofrutticolo e il frequentatissimo corso Fornari.

Ci pensarono i salesiani. Sorriso ampio e testa piena. Quella capacità di costruire sogni e di descrivere vite diverse. In un campo di calcio, tra le mura di una chiesa, nel segno esemplare di Don Bosco.
Oggi è il primo giorno, dopo 70 anni, che dei salesiani si può parlare al passato. C’erano, insegnavano, facevano, dicevano. Si incazzavano e ti riaccoglievano. Tempo imperfetto. E qui “imperfetto” è molto più che lapsus freudiano, visto che tanti (tutti) di questo giorno vorrebbero demolire la nuda concretezza.

Ieri la chiesa di San Giuseppe ha ospitato l’ultima messa dei salesiani a Molfetta. Celebrava il vescovo Mons. Cornacchia. C’erano sindaco e consiglieri comunali, sacerdoti vecchi e nuovi. C’erano i ragazzi di oggi e di ieri, appunto. Quelli che hanno amato e costruito quel pezzo di terra. Non tentando di coglierne semi di paradiso, ma semplicemente di assaporarne il gusto delle cose. Gusto contraddittorio a volte, salato e amarognolo in altre. Ma Don Bosco quello è: passeggiata tra la gente e tra le parolacce. Magari un rimbrotto e poi una carezza. Zucchero.

La chiesa era piena, qualcuno si aspettava di sapere con certezza cosa sarebbe accaduto di lì a poco. Tutti vogliono capire chi prenderà il posto dei salesiani. Loro lasceranno Molfetta per ordini superiori. Forse, a farne le veci, verranno i “giuseppini”, assai vicini peraltro alla mentalità salesiana. Ma le riserve non sono state sciolte, già in settimana qualcosa si saprà.

Intanto restano i lucciconi del nonno settantenne che qui ha tirato i primi calci a un pallone, giocato a biglie e pregato Dio. Resta il silenzio del papà che mai avrebbe ipotizzato questo giorno. Resta l’incredulità del figlio che l’oratorio anche ieri lo ha respirato a pieni polmoni. Certo, anche Don Bosco resta, come recitano i tanti striscioni che tappezzano il quartiere. I suoi precetti incarnano il mistero dell’immortalità. Ma fa strano pensare a questa comunità senza salesiani. Fa strano pensare di ringraziarli per 70 anni di vita, anche se ora lasciano un po’ tanto di vuoto. Poche vocazioni, pochi sacerdoti, dicono dai piani alti. Vai di scure allora. Calcolatrice in mano e tagli da mettere in pratica. Comprensibile, ci mancherebbe. Sono i vizi della prosa.

Chissà come sarà stata strana la serata di don Giovanni. Ultimo dei parroci, che ancora per qualche giorno resterà nella casa. Curerà il passaggio di consegne e darà le chiavi a chi verrà dopo di lui.
Come la sua, la testa di tanti era bassa e brulicante di ricordi. Di smarrimento e dubbi. Una storia novecentesca chiude i battenti. “Sono rattristato”, ha detto il sindaco. Eppure si sentivano e vedevano bene: i canti e i balli degli oratoriani. In fondo non sbagliano. Presto l’oratorio tornerà a pullulare di vita, non v’è dubbio.

martedì 4 Settembre 2018

(modifica il 29 Luglio 2022, 10:26)

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