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Riccardo Muti e la sua Molfetta: «Volevo solo giocare a pallone, poi mi innamorai della musica»

La Redazione
Riccardo Muti
Un racconto divertente e dolcissimo del Maestro in un'intervista al Corriere della Sera
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Uno specchietto gustoso, simpatico, interessantissimo dell’Italia del dopoguerra. E di una Molfetta in bianco e nero.

Riccardo Muti parla della sua infanzia e rivela qualche gustosissimo aneddoto in “Giuro che non avrò più fame”, il libro di Aldo Cazzullo sull’Italia della ricostruzione.

Lo fa in un’intervista al Corriere della Sera.

“A Molfetta – è l’incipit del pezzo – la notte di Natale del 1948 un bambino di 7 anni, ricevette in dono un violino. Quel bambino era Riccardo Muti”.

«Piansi – ricorda il Maestroperché volevo un fucile di legno con il tappo. Mio padre, sconsolato, commentò: “Riccardo non è portato per la musica.” Noi siamo cinque fratelli e tutti avevamo l’obbligo di studiare uno strumento».

Un episodio che oggi, a distanza di decenni, sembra curioso, paradossale. Eppure dolcissimo.

«Avevo voglia – prosegue – di giocare a pallone in piazza. Si ascoltavano soprattutto le partite di calcio, commentate dalla voce di Nicolò Carosio. Si facevano le schedine sognando di fare 13. La tv a Molfetta arrivò nel 1957, tre anni dopo rispetto a Roma. Quando c’era Lascia o raddoppia? con Mike Bongiorno, i cinema interrompevano le proiezioni collegandosi alla tv, e le case si riempivano di amici e parenti, perché l’avevano in pochi. Mi innamorai improvvisamente della musica».

«A Molfetta – dice ancora – non c’erano nemmeno i semafori. Mio padre per lavoro si spostava in calesse, e in famiglia avevamo la carrozza, andavamo a vedere i fuochi d’artificio delle feste patronali a Bisceglie o Andria. Il cavallo aveva un nome umano, si chiamava Mauro, quando entravamo nella stalla ci riconosceva e nitriva. Ricordo una gita a Castel del Monte. Dormimmo in carrozza tutta la notte. Al mattino, con gli occhi del sonno, scostai la tendina e vidi Castel del Monte. La mia passione per Federico II è nata quel giorno. Ho una foto del castello nel mio ufficio dell’Orchestra di Chicago».

Parla della sua prima auto, una Fiat Giardinetta, tenuta in una specie di garage, usandola nelle grandi occasioni. E poi il cibo.

«Si cucinava tutto il giorno – racconta – dopo aver conosciuto la fame. Non si gettava via nulla, quello che restava sul piatto veniva riciclato il giorno dopo. Mio nonno si arrabbiava se tagliavo la mela male: che fai, la butti? La carne si mangiava una volta alla settimana, e il gelato nelle feste speciali, alla Madonna dei Martiri o quando suonava la banda, era un premio raro, costava 5 lire; quello da 20 era una montagna. Noi eravamo fortunati, papà curava tanti pescatori che pagavano in natura».

domenica 28 Ottobre 2018

(modifica il 29 Luglio 2022, 9:00)

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NANA
NANA
5 anni fa

Che meraviglia…è stupendo leggere come qualcuno che oggi potremmo definire”inarrivabile” sia ancora così legato alla nostra città,alle sue tradizioni e alla sua storia…la sua carriera è un esempio di crescita che dovrebbe essere raccontato alle nuove generazioni che pensano di diventare famose solo pubblicando una foto sui social..solo con impegno,dedizione e tanto studio si può diventare qualcuno…senza mai dimenticare le proprie origini, la propria famiglia e soprattutto rimanendo sempre umili…Grazie Maestro…hai reso ancora una volta onore alla nostra città che, sono sicura, avrà tanti altri talenti da sfornare..

Anna de Angelis Giontella
Anna de Angelis Giontella
5 anni fa

Grazie Maestro io amo le Sue direzioni eccellenti e cariche di verità dei personaggi, attori Persone.