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Pellegrini molfettesi in udienza da Papa Francesco, il discorso del Santo Padre

La Redazione
L’assessore alla Cultura Sara Allegretta con Papa Francesco
"Il ricordo di don Tonino Bello ha unito le nostre strade: la mia verso di voi ad aprile e la vostra verso di me in questi giorni"
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Le prime emozioni, da custodire e ricordare. Il bellissimo discorso del Papa. Lo spirito di gruppo, la notte in viaggio per ascoltare le parole del Santo Padre e per dire grazie per aver reso il 20 aprile una data storica per la città di Molfetta.

Alle 12, Papa Francesco ha ricevuto, salutato e colloquiato con la diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi e la diocesi di Ugento, Santa Maria di Leuca. Di seguito riportiamo alcuni stralci del discorso del Pontefice ai pellegrini.
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n”Vi ringrazio per essere venuti e per il vostro amore al Papa. Sono grato a Mons. Vito Angiuli e Mons. Domenico Cornacchia per le parole che mi hanno rivolto a nome vostro. Il ricordo di don Tonino Bello ha unito le nostre strade: la mia verso di voi ad aprile e la vostra n
nverso di me in questi giorni. Mi piace allora accogliervi con una frase carica di affetto, che don Tonino npronunciò al termine dell’ultima Messa Crismale, poco prima di vivere la sua Pasqua: «Vorrei dire ad uno ad uno guardandolo negli occhi: “Ti voglio bene”». Questo sia il nostro modo di vivere: fratelli e sorelle che, guardandosi negli occhi, sanno dirsi “ti voglio bene”.
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nIn quell’occasione don Tonino fece pure una raccomandazione. Disse: «Mi raccomando, domani non contristatevi per nessuna amarezza di casa vostra o per qualsiasi altra amarezza. Non contristate la vostra vita». Chi crede in Gesù non può essere triste; «il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste» Facciamo nostra la raccomandazione a non contristarci mai: se la metteremo in pratica porteremo il tesoro della gioia di Dio nelle povertà dell’uomo d’oggi. Infatti, chi si contrista rimane solo e vede solo problemi; chi invece mette il Signore prima dei problemi ritrova la gioia. Allora smette di piangersi addosso e, anziché contristarsi, incomincia a fare il contrario: consolare”, sono queste le parole che Papa Francesco ha rivolto inizialmente ai fedeli accorsi.

Poi il doveroso cenno all’Avvento che i fedeli si apprestano a vivere, da stasera sino alla vigilia di Natale.
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n”Cari fratelli e sorelle, stasera comincia un tempo di consolazione e speranza, il tempo di Avvento: inizia un nuovo anno liturgico, che porta con sé la novità del nostro Dio, che è il «Dio di ogni consolazione». Se ci guardiamo dentro, vediamo che tutte le novità, anche quelle angettito continuo di oggi, non bastano a saziare le nostre attese. «Tendiamo a cose nuove perché siamo nati per cose grandi», scriveva don Tonino. Ed è vero: siamo nati per stare con il Signore. Quando lasciamo entrare Dio, arriva la novità vera. Egli rinnova, spiazza, sorprende sempre. Vivere l’Avvento è «optare per l’inedito», è accettare il buon scompiglio di Dio e dei suoi profeti, quale fu anche don Tonino. Per lui accogliere il Signore significa essere disponibili a cambiare i nostri piani.
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nÈ bello attendere la novità di Dio nella vita: non vivere di attese, che poi magari non si realizzano, ma vivere in attesa, cioè desiderare il Signore che sempre porta novità. È importante saperlo attendere. Non si attende Dio con le mani in mano, ma attivi nell’amore. «La vera tristezza –nricordava don Tonino – è quando non attendi più nulla dalla vita». Noi cristiani siamo chiamati a custodire e diffondere la gioia dell’attesa: attendiamo Dio che ci ama infinitamente e al tempo stesso siamo attesi da Lui. Vista così, la vita diventa un grande fidanzamento.
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nNon siamo lasciati a noi stessi, non siamo soli. Siamo visitati, già ora. Oggi siete venuti da me, vi naspettavo e vi ringrazio, ma Dio vi visiterà dove io non posso venire: nelle vostre case, nelle vostre vite. Dio ci visita e attende di stare con noi per sempre.
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nVi auguro di vivere l’Avvento così, come tempo di novità consolante e di attesa gioiosa. «Qui sulla terra è l’uomo che attende il ritorno del Signore. Lassù nel cielo è il Signore che attende il ritorno dell’uomo»: ecco il tempo di Avvento. Così ne parlò don Tonino trent’anni fa, commentando il Vangelo che ascolteremo questa domenica con parole che sembrano scritte oggi. Notava che la vita è piena di paure: «paura del proprio simile. Paura del vicino di casa. Paura dell’altro. Paura della violenza. Paura di non farcela. Paura di non essere accettati. Paura che sia inutile impegnarsi. Paura che, tanto, il mondo non possiamo cambiarlo. Paura di non trovare lavoro». A questo scenario cupo, diceva che l’Avvento risponde con «il Vangelo dell’antipaura». Perché mentre chi ha paura sta a terra, abbattuto, il Signore con la sua parola risolleva. n
nLo fa attraverso i «due verbi dell’antipaura, i due verbi dell’Avvento»: alzatevi e levate il capo. Se la paura fa stare a terra, il Signore invita ad alzarsi; se le negatività spingono a guardare in basso, Gesù invita a volgere lo sguardo al cielo, da dove arriverà Lui. Perché non siamo figli della paura, ma figli di Dio; perché la paura si sconfigge vincendo con Gesù il ripiegamento su sé stessi: n
nandando oltre”

Infine un toccante passaggio del disvorso di Papa Francesco riguarda Molfetta e l’essere, da sempre, un popolo di mare.
n”Voi conoscete bene la bellezza del mare, che vi abbraccia nella sua grandezza. Guardandolo, potrete pensare al senso della vita: abbracciata da Dio, bellezza infinita, non può rimanere attraccata a porti sicuri, ma è chiamata a prendere il largo. Il Signore chiama ciascuno di noi a inoltrarsi in mare aperto. Non ci vuole controllori del molo o guardiani del faro, ma naviganti fiduciosi e coraggiosi, che seguono le rotte inedite del Signore, gettando le reti della vita sulla sua parola. Una vita “privata”, priva di rischi e piena di paure, che salvaguarda sé stessa, non è cristiana. Non siamo fatti per sonni ntranquilli, ma per sogni audaci. Accogliamo allora l’invito del Vangelo, quell’invito tante volte ripetuto da don Tonino a stare in piedi, ad alzarci. Da dove? Dai divani della vita: dalla comodità che rende pigri, dalla mondanità che fa ammalare dentro, dall’autocommiserazione che incupisce. Rialzati in piedi, leviamo lo sguardo al cielo. Avvertiremo anche ilbisogno di aprire le mani al prossimo. E la consolazione che sapremo donare sanerà le nostre paure”.

Per i pellegrini accorsi di certo un discorso da custodire e tramandare.

sabato 1 Dicembre 2018

(modifica il 29 Luglio 2022, 8:06)

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