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Riccardo Muti e quelle citazioni in dialetto molfettese con Raffaella Carrà

La Redazione
Il maestro Riccardo Muti mentre assiste a una delle processioni pasquali
Ieri sera nel programma "A raccontarti comincia tu"
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Tra aneddoti e frasi in dialetto. Ricordi di infanzia e amore confessato per la sua terra. È stato un Riccardo Muti dolce, appassionato e estremamente molfettese quello che si è aperto a Raffaella Carrà nella terza puntata di “A raccontarti comincia tu”.

Circa due ore di chiacchierata nella propria casa a Ravenna, con la Carrà nelle vesti di intervistatrice. “Quando uno mi definisce terrone mi fa felice – ha detto il maestro Muti – perché “terrone” vuol dire essere appartenente alla terra”.

È solo uno dei passaggi capaci di esprimere l’identificazione pressoché totale del Maestro con le sue origini. Figlio di un medico di Molfetta (“patria di Gaetano Salvemini”, sottolinea) e di una mamma orgogliosamente napoletana, si definisce non a caso “appulo-campano”.

Nasce infatti a Napoli, prima di trasferirsi a Molfetta, tornare a Napoli e diventare, nei fatti, cittadino del mondo.

Nel suo racconto c’è la spiegazione della nascita dell’amore per la musica. “Mio padre ha voluto – ha detto – che i cinque figli avessero un’educazione musicale. Un giorno a San Nicola, allora, mi sono trovato invece del fucile di legno o del trenino, un violino. Ho capito che sarebbe stata la mia sorte. Inizialmente non gradivo. Avevo un’insegnante bionda che mi dava lezioni di solfeggio. Non riuscivo a impararlo perché non volevo. Dopo mesi mio padre si commosse e disse a mia madre che non avevo qualità”. Il maestro Muti condivide allora la frase del papà, quel “M’attoc u stomc” che sta a significare un gradimento non eccelso di ciò che si sta guardando. Qui però la svolta: la mamma insistette perché il piccolo Riccardo provasse un altro mese. In quel mese cambiò tutto. “L’insegnante – sorride Muti – ritenne quel cambiamento un miracolo di San Nicola”.

Il resto è navigazione a gonfie vele. A 8 anni avrebbe diretto il primo concerto, suonando Vivaldi nel seminario di Molfetta e ottenendo un grande successo di critica. Poi si sarebbe innamorato del pianoforte.

Nel corso della puntata non mancano le citazioni in dialetto molfettese. “Una padella rotta frigge pochi pesci” oppure “Mi sono realizzato un vestito così particolare che rende gli occhi pieni di meraviglia”. Tutto ovviamente non in italiano, ma nel nostro tipico slang. Così come si ricordano curiosi episodi, come il confronto con la Regina Elisabetta, che voleva farsi chiamare allo stesso modo in cui a Molfetta si chiama la mamma “memm”. “Madonne me’ – dice Muti – mi sembrava di stare nella chieda della Madonna dei martiri”.

Altri episodi sono legati allo studio della musica con il maestro Rota a Bari. Oppure a qualche concerto a cui hanno assistito madre e padre. Fino, per essere in tema pasquale, alla convinzione paterna che il giovane Riccardo avrebbe potuto essere maestro solo della banda di Molfetta.

Le cose, poi, sono andate in modo radicalmente opposto.

giovedì 18 Aprile 2019

(modifica il 29 Luglio 2022, 3:52)

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