Attualità

La storia di Biagio. Un coraggio che non finisce mai

Pasquale Caputi
Biagio De Gennaro
Nei giorni scorsi, a 24 anni, ha salutato il mondo a causa della "Malattia di Lafora". Ma la sua forza è più grande che mai
scrivi un commento 26667

“Siamo usciti dalla chiesa con il wi-fi attaccato, eravamo tutti connessi al cuore di Biagio”. Era mercoledì, era il giorno del funerale, quello del commiato da Biagio De Gennaro, 24enne che ha salutato il mondo nei giorni scorsi. Colpa di una malattia rara. Si chiama “Malattia di Lafora”, colpisce meno di 30 persone in tutta Italia. Era il giorno più triste, quello delle lacrime agli occhi, ma qualcuno ha voluto che non andasse così. “Avevo fatto una promessa a Biagio – racconta Leo, il coraggiosissimo papà – Il suo funerale doveva essere un momento in cui le lacrime di dolore si trasformavano in gioia. A fine messa l’ho anche detto a tutti i suoi amici scout: mio figlio ha donato un pezzo di futuro, quello che lui non ha potuto realizzare”.

Un futuro che deve essere radioso e intraprendente. Un po’ com’era Biagio, che fino al 2017 viveva la sua vita e avverava i suoi sogni, pur sapendo che un male oscuro si impadroniva ogni giorno un po’ di più della sua vita.

La storia di questo ragazzo straordinario, però, non vuol essere di passato, bensì di futuro. Perché ci sono tutte le carte in regola perché domani anche una malattia rara possa essere domata e conosciuta. “Lafora”, per intenderci, scoperta nel 1998, ha ancora lati oscuri che devono venire a galla. Di quei circa 30 casi italiani, per esempio, 8 sono pugliesi e addirittura 3 molfettesi. “Camminiamo su un campo minato – prosegue Leo – è un rischio che va individuato e messo in luce, con screening e ricostruendo l’albero genealogico, lì dove sia possibile. L’incidenza in Italia è di una persona colpita su 1,5 milioni, a Molfetta di una su 20mila. Occorre fare un lavoro di emersione del sommerso”.

È per questo che con l’associazione AmicaMente e il gruppo di studio dell’Università di Foggia, che ha seguito i casi pugliesi, saranno raccolti fondi e sarà promossa una borsa di studio per aiutare il percorso di una specialista, Alessandra Lalla, che a Biagio è stata vicina fino alla fine. “Con lei abbiamo preso l’impegno di andare avanti e continuare a lavorare – dice ancora Leo – Abbiamo in mente di organizzare un workshop nazionale tra settembre e ottobre, invitando le famiglie italiane. Se oggi non ci sono terapie infatti, entro un paio d’anni qualcosa verrà fuori. È importante che si eviti di arrivare all’epilogo di Biagio, allettato e in carrozzina negli ultimi tre anni”.

Tutto cominciò nel 2008. Biagio era a casa sua, assieme ai suoi amici. Era il giorno del compleanno del suo papà e si preparava ad andare al mare. Fu allora che ebbe il primo attacco di epilessia. “Per fortuna capitò a casa – ricorda Leo – altrimenti l’avremmo perso già in quella circostanza. Ci abbiamo messo un paio d’anni per capire di cosa si trattasse”. Fu il professor Avanzini, al Besta di Milano, a fare la diagnosi. È uno degli scopritori della malattia, spiegò l’andamento e l’iter di Lafora. “Ci disse in lacrime – dice ancora Leo – che in quel momento aveva ottenuto successo come ricercatore ma era stato sconfitto come medico”. Parole che espressero la frustrazione assoluta di non aver potuto proporre una cura.

Biagio proseguì la sua vita. Continuò orgogliosamente a essere scout, conseguì la maturità scientifica e iniziò pure a frequentare l’università per coronare il sogno di diventare insegnante. Ma divenne ben presto complicato, stante il decadimento cognitivo che prendeva il sopravvento. “Cominciammo a fare terapie occupazionali – racconta – mettemmo su un orto e lo curavamo con Biagio. Lo seguivano in tanti: il logopedista, il fisioterapista, uno psicologo. Ci siamo inventati un po’ di cose, non potevamo che fare così”.

Lui, dal canto suo, aveva deciso di convivere con la malattia, anche con una certa serenità. Ne è stato consapevole fin dall’inizio. Quando c’era da prendere delle pillole, che in famiglia chiamavano “caramelle” per sdrammatizzare, lui per esempio rispondeva canticchiando che “caramelle non ne voglio più”. La malattia gli pesava, chiaramente, ma aveva deciso di soffrirne il meno possibile. “Non si è mai abbattuto – prosegue Leo – anche perché non aveva tempo per farlo. Gli amici di scuola non l’hanno mai mollato un momento. Nel 2017 riuscì persino a salire sulla Tour Eiffel a piedi e a visitare la reggia di Versailles”. Poi, in quello stesso anno, la prima ondata di infezioni e un aggravamento. Quindi il ricovero a Foggia, la degenerazione della situazione a livello motorio e cognitivo, fino all’ultimo mese e a quella polmonite che si è rivelata fatale.

Ma non a sufficienza per spegnere la forza e il sorriso di Biagio. “A parte la malattia – conclude Leo – abbiamo tutti il dovere di fare un percorso che ci aiuti a vedere la morte come un pezzo della vita. Non dobbiamo chiudere gli occhi, ma essere coraggiosi a ribaltare la frittata, trasformando il dolore nel cambio di prospettive. Poco prima che Biagio morisse, un meraviglioso raggio di sole ha illuminato lui e il sul letto. Era un segno forte che la luce deve prevalere”. Come la voglia di guardare avanti. Non a prescindere da Biagio, ma assieme a lui. Zaino in spalla, con occhi da esploratore. Da vero scout. Nel futuro di chi lo conosceva ci saranno sempre i suoi occhi pieni di vita.

Di seguito i riferimenti per chi volesse contribuire alla raccolta fondi:

AmicaMente Onlus
Banca Popolare di Puglia e Basilicata
Filiale di Triggiano
Iban: IT58P0538541730000000300300
Bic: BPDMIT3BXXX

sabato 11 Gennaio 2020

(modifica il 28 Luglio 2022, 19:56)

Argomenti

Notifiche
Notifica di
guest
0 Commenti
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti