Attualità

“Dal 1975 un piccolo fiore è stato piantato qui”, Rione Paradiso tra passato e presente

Angelo Ciocia
Rione Paradiso
Da "U stradoene" alla comunità della Parrocchia Sant'Achille, la storia di uno dei quartieri storici di Molfetta
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“Un paesino all’interno di un paese. Trovare un rione di seimila persone e anche più, ai miei tempi, era difficile”, parola di Giovanni Ciocia. Luogo di nascita: Rione Paradiso. Segni particolari: non cambierebbe il suo rione con niente al mondo.

Un rione definito dormitorio all’inizio della sua storia. “Lo chiamavano dormitorio perché era abitato da tutte giovani coppie che usavano le abitazioni di Rione Paradiso solo per dormire. Devo dire che sono stati, siamo stati bravi a soddisfare le prime necessità con scuole, supermercati e altro e a creare un entusiasmo contagioso tra gli abitanti”, ricorda Duccio Poli.

Quell’entusiasmo contagioso che ha coinvolto i ragazzi, veri portatori di gioia nel quartiere. “Sono sceso per strada a 5 anni, senza cellulare, senza niente. I miei genitori sapevano dove trovarmi. Ero sempre lì, alla posta – le parole di Giovanni, che continua – Adesso il quartiere è meno vivo di primo. Abito fuori città, quando torno nel mio rione vedo qualche ragazzo giocare, ma sono pochi e i tempi sono cambiati. Se sono cambiati in meglio o in peggio non spetta a me dirlo. Di sicuro, quando il comune ha piantato gli alberi, a fine anni Novanta, nella piazzetta della posta, è morta un po’ di vitalità nel rione”.

Si, perché Piazza Rosa Luxemburg, dove oggi sorge il C.A.V. Annamaria Bufi, era la “Piazza della Posta”. “Via Achille Salvucci, per la sua mole, era “u stradoene”. Le viuzze tra via Raffaele Cormio, via Madame Curie erano “Il labirinto”. L’attuale strada alberata via don Francesco Samarelli era la “ferròvie”. E tutto ciò che era terreno, che poi sarebbe diventato palazzo, era “foère” o la “chembegne”. Tutte queste zone erano squadre di calcio e si organizzavano tornei di calcio rionali”.

Ma riavvolgiamo il nastro dei ricordi. “Sono stato uno dei primi abitanti di Rione Paradiso – spiega Giovanni – E’ un quartiere sorto a fine anni Settanta e abitato da tutti i novelli sposi dell’epoca. Quella fascia d’età che va da fine anni Settanta a fine anni Ottanta, per me, sono tutti coetanei. Condividevamo gli stessi luoghi, le stesse persone e salutavi anche chi non avevi mai visto prima. Perché? Perché era del tuo stesso rione”.

Un senso di appartenenza senza eguali, a queste latitudini. “Siamo stati dei privilegiati. Avevamo tutto all’interno del quartiere e non c’era bisogno di uscire fuori: la scuola media Poli era nella zona detta il labirinto, la posta era praticamente sotto casa, la chiesa nel nostro rione. Ma c’erano soprattutto quelli che sono diventati gli amici di una vita – le parole di Ignazio Spadavecchia – A 6 anni non esisteva la scuola calcio, se volevi giocare a calcio dovevi andare per strada. E quando un amico giocava in Prima Categoria, tutto il rione era a fare il tifo. Il comune disegnò sullo spiazzale della ex posta un campo da tennis ed era quello il nostro campo da calcio, così come “la chembegne” era un altro campo, dove oggi sorge la villetta abbandonata nei pressi del Tombino”.

Non solo il calcio, però. “Abbiamo giocato a guardie e ladri, a palline (le biglie ndr), a un gioco che chiamavamo “awend awend la gaddaine” e “O feirre”, un gioco che sfruttava il fatto di avere aiuole con terreno morbido e pezzi di ferro dei vicini cantieri: l’obiettivo era lanciare questo ferro e infilzarlo nel terreno”, è il ricordo di Ignazio.

Tante zone, tanti ricordi che spesso vengono rievocati anche nel gruppo social “Quelli che… di Rione Paradiso”, creato come una sorta di scatolone amarcord. “Penso che il fulcro del quartiere fosse proprio la piazzetta della ex posta, in una zona centrale del rione, con un campo da calcio e tante comitive che si susseguivano – raccontano Giovanni e Ignazio – Non meno importante la chiesa Sant’Achille: tra ACR, oratorio e catechismo sul sagrato si creava un via vai di coetanei”.

Fulcro della vita rionale fu la creazione della prima comunità di Sant’Achille. “Fu la grande scossa: i giovani portarono il loro entusiasmo, gli adulti la loro concretezza ed esperienza. Si creavano incontri, manifestazioni. Ci si conosceva, si creava aggregazione. Da quartiere dormitorio, la comunità di Sant’Achille, assieme alla 167 divenne comunità parrocchiale più popolosa della diocesi, un vero fiore all’occhiello diocesano”, ricorda con piacere Duccio Poli.

Non solo ricordi e nostalgie, ma anche momenti attuali. “Rione Paradiso è la mia culla, la vita ti porta a compiere scelte e adesso vivo fuori città, ma è sempre bello ricordare quanti assembramenti di relazioni ho vissuto a casa mia”, chiude Giovanni. Non è cambiata dal punto di vista architettonico, ma ne è cambiata la mentalità. “Per anni la piazzetta della posta è stata quasi deserta. Adesso con i giochi messi al C.A.V. qualche ragazzo si affaccia. Vederla vuota per il coronavirus non è stato affatto bello”, conclude Ignazio.

“Tutte le cose belle hanno un loro declino. Oggi il rione è abitato da persone più anziane, tutti orgogliosi di aver dato vita ad una realtà fatta di entusiasmo e gioia. Dal 1975 un piccolo fiore è stato piantato in questo pezzo di terra e dobbiamo essere fieri di averne partecipato”, è il pensiero finale di Duccio.

Palazzi che sorgevano a macchia d’olio. Piazzette, la campagna circostante, quel senso di pace interrotto dalle pallonate e dalle piacevoli urla dei ragazzi. Un fiorellino che si appassisce, però, quando viene meno l’entusiasmo contagioso dei ragazzi, quando si creano spazi verdi che sono recintati e abbandonati da anni e quando alcune zone periferiche del rione sembrano dimenticate. Da chi sta in alto, ma anche, purtroppo, da chi ha reso grande e inimitabile Rione Paradiso.

venerdì 8 Maggio 2020

(modifica il 28 Luglio 2022, 15:24)

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