Passione e tradizione

Le statue del Sabato Santo nei racconti di Giulio Cozzoli

Giuseppe De Robertis
Pasqua molfettese
Un omaggio allo scultore molfettese che raggiunse la fama internazionale
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“Se il piacere infiacchisce l’animo, il dolore lo fortifica. Esso si riallaccia con la vita all’amore e con la morte alla fede. Non c’è artista che si rispetti che non abbia trovato nel dolore la fonte inesausta d’ispirazione”. Lo spunto di riflessione appena riportato è tratto dalla prefazione dello scritto del sacerdote Giovanni Capursi che nel 1957 fece dare alle stampe un opuscolo dal titolo “Le statue del Sabato Santo nel racconto di Giulio Cozzoli”.

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Il libello, sconosciuto ai più, oltre a voler essere un omaggio al grande scultore molfettese che, sulle orme del maestro Filippo Cifariello, raggiunse la fama internazionale, rappresenta un unicum di grande valore perché racchiude scritti e memorie dell’artista oltre che annotazioni personali sulla realizzazione delle statue commissionategli dall’Arciconfraternita della Morte.

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Una produzione vasta e sofferta, piena dell’affetto dell’artista per le tradizioni molfettesi cui teneva molto e infarcita di episodi e aneddoti che esaltano l’assoluta grandezza di un artista forse ancora troppo poco apprezzato per le sue virtù.

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Dopo la prefazione di cui abbiamo estratto l’incipit del nostro, il testo lascia spazio agli scritti di Giulio Cozzoli riportati secondo l’ordine cronologico di realizzazione delle statue in cartapesta.

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Si inizia dalla descrizione della fase che portò nel 1906 alla realizzazione del Cristo Morto che avrebbe sostituito la vecchia statua che completava il quadro scenico della Pietà. Quest’ultima ormai deteriorata dal tarlo, strideva con la bellezza del volto seicentesco della Madonna (di autore ignoto) a causa della mediocre fattura. Cozzoli iniziò a plasmare il Cristo senza che ci fosse stato ancora un incarico diretto dell’Amministrazione dell’Arciconfraternita. Oltre alla realizzazione del Cristo Morto il Cozzoli riuscì anche nell’intento di correggere difetti strutturali e visivi del gruppo della Pietà creando una struttura in ferro, poi rivestita da un masso in cartapesta che reggesse la figura della Madonna e quella del Cristo poggiato sulle sue gambe e allo stesso tempo facesse da supporto per la croce il legno che sovrasta la figura. Anche il volto della Madonna fu ridipinto aumentandone l’espressività. Non è difficile però notare, tra le righe del testo, che il Cozzoli auspicava la possibilità che un giorno l’Arciconfraternita potesse conferirgli l’onere di rifare anche il volto della Madonna così da conferire ulteriore armoniosità al gruppo scultoreo. Un sogno evidentemente mai realizzato.

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Sempre nel 1906 il Priore della confraternita dal Sacco Nero, Pietro Gadaleta, commissionò al Cozzoli la realizzazione della Veronica a sostituzione della vecchia statua ormai deteriorata. Il maestro la plasmò ispirandosi a canoni di bellezza orientale, le braccia scoperte e larghi cerchi ai lobi delle orecchie; il sudario di tela sul quale il volto del Cristo era stato disegnato con colori a pastello. Ma dopo qualche anno il sudario (oggi conservato nella chiesa di Santo Stefano) perse la sua originaria colorazione e l’artista decise di rimediare realizzandone un altro in cartapesta con il volto del Cristo colorato ad olio. Il peso del nuovo elemento portò l’artista alla necessità di rinforzare le braccia della Veronica che vennero così coperte con maniche leggere. Anche i grandi cerchi vennero rimossi e la statua perse i connotati storici e originari per accondiscendere a quelli più religiosi e limitati del corteo processionale. “E mentre gli occhi rivolti alla moltitudine indicano il miracolo avvenuto, il corpo invece mostra un sacro timore di avvicinarsi al Sudario, oggetto di tanto stupore”.

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Nel 1913 l’Arciconfraternita presieduta da Mauro Lisena decise di eliminare dalla processione una statua di Cristo con la Croce per sostituirla con quella di Maria Cleofe, storicamente la sorella della Vergine Maria. La prima versione della statua risultò però notevolmente più alta delle altre “per consiglio errato e per altre cause non previste”. Cosi dopo la Prima Guerra Mondiale il Cozzoli decise di rimediare all’inconveniente plasmandone un’altra di uguale altezza alla Veronica e migliorata nella posa e nei drappeggi. La presenza dei “segni della Passione” tra le mani della Cleofe non trova riscontri attendibili tra le pagine del Testo Sacro ma si deve esclusivamente all’immaginazione del Cozzoli che la rappresentò, tra l’altro con un volto “veristico eminentemente umano che esprime in pieno il pensiero dell’artista”. Della vecchia statua fu salvato solo il busto della Santa, assai diverso da quello della versione che attualmente è conservata nel Purgatorio.

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Passarono diversi anni prima che Giuseppe Peruzzi, Priore dell’Arciconfraternita nel 1926 pensò di rinnovare la figura del San Giovanni. Tra i tanti bozzetti del discepolo amato che Giulio Cozzoli preparò nel tempo si scelse di plasmare una statua che avesse le mani congiunte riprendendo il motivo della vecchia statua del Verzella. Tra mille peripezie, rallentamenti e incomprensioni (quell’anno Cozzoli lavorava alacremente anche alla realizzazione del Monumento ai Caduto poi collocato nella villa comunale), “Cozzoli volle raffigurare San Giovanni in un giovanetto appena sulla ventina, di costituzione gentile e di timido aspetto, con gli occhi rivolti al cielo”.  Anche quest’opera fu oggetto di non poche critiche causa il distacco totale con la statua precedente realizzata nell’ottocento dall’artista napoletano (autore, tra le altre della statua dell’Assunta e di quella della Madonna del Buon Consiglio conservate nella chiesa di San Gennaro).

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Non meno dissonanti con la pregevole qualità artistica della statua furono le critiche mosse dalla cittadinanza alla nuova statua del San Pietro che sostituiva una statua (adattamento di un vecchio San Giuseppe) cui i molfettesi erano molto affezionati. Cozzoli “immaginò San Pietro nell’atrio del Pretorio di Pilato, con un piede posato sul gradino della scala, come preso da panico per aver tre volte negato Gesù. Ed all’udire cantare il gallo assume la espressione della più viva sorpresa e dell’intimo ravvedimento, ricordando in quell’istante le parole divinatrici del Maestro”. “E per citare un esempio dell’ostilità iniziale al nuovo lavoro, si ricorda l’episodio del sacrestano dell’Arciconfraternita, il quale, invitato a posare per le braccia nude del Santo, dopo la prima posa si dette improvvisamente ammalato perché indignato del nuovo atteggiamento imposto alla statua!”

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Il programma di rinnovamento delle statue fece un passo ulteriore nel 1928 con l’inserimento della figura di Maria Salome ma si decise di farla eseguire in legno ad Ortisei. La statua non armonizzava affatto con le altre del Cozzoli che dopo anni fu sollecitato alla realizzazione di una nuova statua che sfilò in processione per la prima volta solo nel 1953. “Dette al volto, con risultato efficacissimo, la espressione di accorato pianto, di cui ognuno che la guardi ne rimane profondamente commosso”.

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Delle Versioni della Maddalena e della Realizzazione dell’immagine della B. V. Addolorata parleremo in seguito. Qui abbiamo voluto raccontare di alcuni aneddoti legati alle nostre pregevolissime statue che compongono il tesoro custodito dall’Arciconfraternita della Morte e trattare dell’animo dell’artista Cozzoli che con tanto amore si è dedicato al lavoro di realizzazione, con non pochi patimenti professionali e personali, della raffigurazione della Passione di Cristo.

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“Il dolore è il grande mistero, come l’amore. Senza amore non si vive; senza dolore non si ama”.

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domenica 21 Marzo 2021

(modifica il 28 Luglio 2022, 5:18)

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