Incoscienze reciproche e disparate, profondamente diverse: a un estremo quella geniale e artistica di chi crea; all’altro quella superficiale e cieca di chi ignora. L’opzione coscientemente scelta e percorsa da Vittoria Facchini è la prima. La parabola dell’illustratrice molfettese è un moto di tensione continua verso il raggiungimento di un porto di senso, a partire da un mare indistinto e istintivo di sensi, stimoli, ispirazioni, idee.
È un tuffo temerario e spericolato, ma pur sempre ben calibrato e progettato, nell’ignoto che diventerà noto. La quarantanovenne artista molfettese ha raggiunto, ormai da diversi decenni, una posizione di notevole rinomanza e prestigio nella letteratura d’infanzia italiana ed europea, in un settore spesso lontano dai riflettori, talvolta negletto dal grande pubblico.
Dopo gli studi liceali artistici e la specializzazione in grafica pubblicitaria e editoriale a Firenze, ha avuto luogo in terra veneziana, nel 1991, l’incontro decisivo, spartiacque di una carriera. “L’illustrazione è stata per me- ha affermato la disegnatrice ai nostri microfoni- un incontro casuale. Ho lavorato con il celebre Emanuele Luzzati a Venezia e ne sono rimasta folgorata. Sino a quel momento ero stata indotta a credere che per la letteratura infantile fosse improponibile la mia maniera di disegnare. Luzzati ha intravisto nel mio stile inedito una risorsa alternativa rispetto alla scontata rappresentatività realistica. Con incoscienza, senza nessuna consapevolezza o conoscenza, sono stata precorritrice dei tempi. IL mio tratto spezzato, zoppo, sghembo, non fotografico ma introspettivo, si è rivelato particolarmente espressivo. Irriverente e esuberante, tentavo sin da allora di strappare la pagina con la forza della mia matita”.
Nel capoluogo veneto, con intenso impegno e continua crescita, sono arrivati i primi complimenti e riconoscimenti. La disegnatrice molfettese ha avuto la possibilità di partecipare alla Fiera del Libro di Bologna del 1997 con “I maschi non mi piacciono perché” e “Le femmine non mi piacciono perché”. Parliamo di opere tanto illustrate quanto corredate di didascalie e raccontate, entrambe capaci di riscontrare enorme successo.
All’indomani della manifestazione bolognese ecco giungere all’autrice due proposte di lavoro da due case editrici: una francese, l’altra italiana. Posta di fronte a questo bivio, Vittoria Facchini ha pensato fuori dagli schemi, ha preferito l’insensatezza solo apparente di un lungo e paziente progetto di senso alla logica utilitaristica del vantaggio immediato e della soddisfazione economica. Ha scelto di restare in Italia e di collaborare col marchio editoriale Fatatrac, che ha apprezzato la sua capacità di trattare con leggerezza, senza veli ipocriti né reticenze, temi delicati e fondamentali come la differenza di genere e la sessualità infantile.
Nel 1999 c’è stato l’exploit di “Piselli e Farfalline”, tradotto in numerose lingue straniere; nell’anno successivo, in continuità al momento estremamente positivo, è stata la volta di “Quel mostro dell’amore”. La prosecuzione della prima decade del nuovo millennio ha portato alla consacrazione. L’artista ha incrementato la qualità e la quantità delle sue collaborazioni e dei suoi lavori. Ha curato illustrazioni per edizioni di testi di importantissimi scrittori come Gianni Rodari; ha esibito il suo disegno originale e anticonvenzionale per i tipi di case editrici del calibro di Einaudi, Mondadori e Feltrinelli.
Nel 2002, assieme ad altri quattro autori italiani, ha rappresentato l’Italia nella Salone del Libro di Parigi. Quattro anni dopo è stata insignita del premio europeo Andersen come miglior illustratrice italiana. Il suo sentiero, nell’ultimo decennio, ha progressivamente superato la scrittura e la didascalia per concentrarsi su un’immagine sufficientemente immatura da poter parlare da sé, su un disegno libero di essere interpretato e di riattivare piste semantiche ogni qualvolta viene osservato.
Una simile iconicità dell’arte ha potuto adeguatamente esser veicolata nel contesto delle mostre. “Le mostre sono per me ormai imprescindibili,- ha detto l’autrice de “I maschi non mi piacciono perché”- mi consentono di erompere oltre il limite della pagina e dell’illustrazione. Certo, il libro resta indispensabile motore di pensiero, ma deve rimanere aperto, lasciare qualcosa di sospeso e incompiuto, stimolarmi a cercare percorsi altri. Le mie esposizioni sono diventate ormai installazioni polimateriche, e dalla bidimensionalità passano alla tridimensionalità, per avvicinarsi il più possibile e in modo alternativo alla realtà. Negli ultimi anni ho abbandonato l’esecuzione grafica tecnica e canonica, e cerco di inserire nelle mie immagini oggetti fisici, concreti pezzi di vissuto. Pongo ad esempio una ciottolo raccolto in riva al mare al centro del foglio, e mostro ai bambini i mille modi in cui da quell’oggetto possono nascere diverse figure. Insegno ai piccoli che ogni disegno esiste solo nel momento in cui viene concepito e eseguito. Niente va incorniciato e tutto si ricicla e si trasforma. Bisogna recuperare la pazienza di guardare, essere clementi col proprio occhio. Al di là del saper o non saper disegnare, il bambino va educato ad osservare”.
L’incoscienza e la casualità giovanile restano, ma sono disciplinate dalla ragionevolezza e dalla coscienza di voler pur sempre comunicare qualcosa. È lungi dall’illustratrice molfettese l’intenzione di essere criptica e incomprensibile, di attingere a significati universali o metafisici. “Ho l’esigenza di essere visiva più che teorica, energetica ed empatica ma sempre attenta a spiegare e motivare tutto per filo e per segno”.
“Per filo e per segno” è non a caso il titolo di una delle più importanti recenti opere di Vittoria Facchini, pubblicata nel 2012 e in esposizione a Carpi sino al prossimo 3 maggio. L’artista sta proseguendo la sua fase polimaterica e meta-figurativa: continua a risiedere a Molfetta, ma attualmente fa la spola tra Mantova, dove è in corso una mostra delle sue illustrazioni di “Mare matto” (libro scritto da Alessandro Riccioni e edito da Lapis nel 2016), e Albinea. In quest’ultimo paese emiliano sta lavorando nelle scuole, in preparazione al prossimo decennale della mostra cittadina di letteratura dell’infanzia. Giunta nel pieno della sua carriera, la disegnatrice parla con l’entusiasmo di chi non ha rimpianti, anche quando ammette di amare la sua patria di un amore non del tutto corrisposto. “Non sono dispiaciuta- dice- non vedo perché dovrei esserlo. Professionalmente mi sono realizzata quasi esclusivamente lontano dalla città a cui sono visceralmente legata. Qui non è stata mai pienamente valorizzata e riconosciuta la mia professione, nonostante il successo della mostra “Saluti da Molfetta” che ho organizzato nel 2000. Ma non dispero di poter ritentare la fortuna in patria. È in programmazione una mostra di “Mare matto” nel deposito di reti della mia famiglia in via Madonna dei Martiri. Pregusto già le emozioni e le suggestioni di un’esperienza intima in un luogo a me estremamente caro”.
Dal suo studio in traversa San Domenico, l’illustratrice vuole e può far conoscere ovunque la sua illuminata incoscienza. Alla tenace, rigida flessibilità dell’arte non è preclusa alcuna via.