Cultura

Molfetta e i mestieri che scompaiono

Adriano Failli
Un maniscalco molfettese
Nel giorno dedicato ai lavoratori, ricordiamo alcuni mestieri che ormai non esistono più
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Prendiamolo come un omaggio al passato lontano, un tuffo in una Molfetta che non c’è più, risucchiata dal tempo, dalla globalizzazione, dal mondo del lavoro che si trasforma e inghiottisce voracemente antiche professioni. Purtroppo o per fortuna il mercato si è evoluto, la rivoluzione industriale e digitale, il 4.0, hanno permesso a nuove forme di mestieri di avanzare, mentre altri possono unicamente rimanere nella memoria dei ricordi, di alcuni scritti e di pochissimi fotogrammi.

Oggi, Primo Maggio, giornata di tutti i lavoratori, vogliamo però ricordarli. Non tutti, ma quelli sicuramente più significativi o i cui nomi in vernacolo sono in qualche modo rimasti nella nostra memoria e ancora richiamati nel quotidiano. Si tratta per lo più del mondo dell’artigianato e della manodopera, degli aggiustatutto di bottega, che negli anni è stato sempre più raro vedere per la città.

Come non citare il “conzasiegge“, talmente caro alla città di Molfetta da meritarsi una marcia funebre dedicata, forse la più apprezzata della Pasqua molfettese. Si trattava di un arrotino che passeggiava per la città offrendo la propria prestazione di impagliatore di sedie, mestiere che svolgeva casa per casa.

Prima dell’avvento delle automobili, si sa, in città ci si muoveva per lo più a cavallo o su piccoli carri. Ai margini della città, nell’antica periferia, lavorava il maniscalco, che sistemava i ferri di cavalli, asini e muli. Dal piccolo laboratorio, assieme ad un denso fumo, spesso si sentiva anche l’espressione dialettale: “soet’ a sòete menònne” per tranquillizzare gli animali da traino. Sempre legato al mondo animale, parecchio curiosa era la figura de “u caseratòere“, il tosatore, che praticava la propria professione servendosi de “u torcèmusse” , uno strumento legato al labbro delle bestiole da una corda connessa ad una mazza lunga qualche metro.

Tra gli altri mestieri scomparsi, vi è quello del funaio, “u mèst all’éndréiete” in vernacolo, o de “u feschelare” che attorcigliava corde, mentre un aiutante faceva girare una ruota, mestiere umile e assai faticoso, soprattutto nelle calde giornate d’estate o col mal tempo.

Immancabile era poi la figura del fornaio: autore di grandi prelibatezze. Tale professione sopravvive ancora oggi in qualche modo all’interno della città, mentre un tempo era una vera e propria istituzione presso la quale le casalinghe affidavano le “tiedde” per cuocerle, oppure acquistavano il tipico pane intrecciato molfettese (“u taradde“), o le pagnotte (“schechénéte“) e le ruote di focaccia “a prime furne” (“u cùchele“). Il tutto a dipingere un quadro pittoresco che oggi sembra lontanissimo, ma che costituiva il quotidiano panorama molfettese, fatto di lavori che oggi non trovano più spazio nella vita cittadina.

martedì 1 Maggio 2018

(modifica il 29 Luglio 2022, 14:10)

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