Cultura

Giulio Cozzoli, 62 anni dopo: un “antimodernista” a Molfetta

Adriano Failli
Giulio Cozzoli
Nel 62° anniversario dalla morte, ripercorriamo parte dei percorsi artistici del famoso scultore molfettese
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Nei pressi della Stazione ferroviaria di Molfetta, si dipana, parallelamente alle rotaie, una lunga via, non particolarmente luminosa e con numerosi parcheggi. Siamo in piena zona residenziale, lì vicino c’è anche una delle isole ecologiche sparse per la città. I più giovani la conoscono come “Il buco”, luogo di ritrovo in cui spesso passano le serate o festeggiano improvvisati compleanni. Quella strada in realtà, è dedicata allo scultore molfettese Giulio Cozzoli. Già questa può essere una piccola ma significativa metafora di come Molfetta ricordi la memoria di uno dei più grandi, o forse il più grande, artista vissuto in questa città, di cui oggi si celebra il sessantaduesimo anniversario dalla scomparsa.

Di Giulio Cozzoli si parla, Giulio Cozzoli lo si conosce, ma quasi mai fino in fondo. E’ una figura per certi versi avvolta nel mistero, eppure le sue testimonianze, le tracce del suo passaggio sono costantemente sotto i nostri occhi. Lo scultore Giulio Cozzoli non è solo banalmente l’autore dei capolavori scultorei che sfilano in processione il Sabato Santo, né solo l’autore della Deposizione, massima sintesi ed espressione della sua arte. Giulio Cozzoli è stato uomo, soldato e servitore della patria, studioso e poi scultore. Autore dei capolavori a tema religioso, ma anche civile, come l’imponente Monumento ai caduti della Villa Comunale o le tante sculture funebri site nel cimitero monumentale di Molfetta.

Eppure, in tutta la sua vastissima attività, riconosciamo un elemento comune, immutabile a seconda che si tratti di un’opera laica o religiosa: la passione. E’ un segno distintivo e caratteristico delle sue figure. Così, il tema delle sue opere religiose sarà in qualche modo sempre legato alla passione di Cristo, al pathos, alla sofferenza. Così, l’opera civile più importante da lui realizzata sarà un tributo ai caduti di guerra, fra cui un suo giovane fratello morto durante la Prima Guerra Mondiale. Perché la Nike che sorregge il fante nella grande opera monumentale di Piazza Garibaldi non è poi così lontana da Maria che regge il corpo morente di Cristo. Perché, in fondo, il Monumento ai caduti è una vera e propria pietà laica.

“Giulio Cozzoli non si può replicare”. Bastano queste poche parole, pronunciate da Antonietta Cozzoli, figlia del nipote Maurangelo, per descrivere la grandezza dell’artista, per provare a comprendere come mai avesse deciso di non sposarsi, di non avere figli, quasi come se volesse egli stesso riconoscersi nella sua unicità. Un figlio di adozione, però, in qualche modo, il Cozzoli lo ha avuto ed è stato proprio l’amato nipote, che ne ha voluto raccogliere a pieno l’eredità, continuando quasi ossessivamente l’attività dello zio, volendo inseguire il suo grande sogno, la realizzazione dell’apice della sua arte: la Deposizione. Fu proprio Maurangelo ad ultimare la fonditura in bronzo del capolavoro che lo zio aveva scolpito in gesso, seguendo alla lettera le istruzione lasciate da quest’ultimo, morto, ironia della sorte, la sera prima di imbucare la lettera con cui richiedeva ad una famosa ditta napoletana, di procedere alle operazioni di fusione.

Dopo anni, il sogno diventò realtà ed oggi l’opera è ammirabile presso l’ingresso del Museo Diocesano di Molfetta, in quella che per gli eredi rappresenta una delle collocazioni migliori possibili in città. All’interno dello stesso museo, è racchiuso gran parte del materiale prima gelosamente conservato dai familiari. Studi, modelli, prove delle sculture più famose. Dalle sette statue del Sabato Santo, qui presenti in dimensioni ridotte e in varie prove, fino ai vari studi della stessa Deposizione. “Lo scultore era un antimodernista – ci racconta Antonietta – che ha recuperato lo stile classico della scultura, influenzato dai suoi studi romani e fiorentini. Incredibile come nelle fasi preliminari della scultura, lui fosse molto più vicino ai suoi contemporanei, mentre poi il lavoro finito era un capolavoro di altre epoche”. E così, osservando gli studi della Deposizione, non possiamo che notare come i modelli preliminari in gesso ricordassero effettivamente quasi sculture futuristiche o lo stile di De Chirico e che solo successivamente assumevano composizione e stile neoclassico.

Lo sguardo però, si posa immediatamente su un modello di Pietà completamente differente da quello del gruppo del Sabato Santo. Una pietà distesa, che si ispira al modello del suo maestro Cifariello. Il capo del Cristo si adagia dolcemente tra le braccia della madre, distesa. Le due figure formano nel complesso un triangolo, in cui i volti si incontrano esattamente a metà, in una sospensione che ricorda tanto il bacio mai consumato tra Amore e Psiche nell’opera di Canova. Così Cozzoli, presenta un’altra delle sue opere più famose in una versione completamente inedita e sorprendente.

La sua ossessione è però un’altra: la Maddalena. L’autore per anni non riuscirà a trovare la composizione adatta a realizzare ciò che aveva in mente, tantissimi saranno gli studi che dedicherà alla realizzazione del capolavoro, che si materializzerà poi in quella statua, oggi conosciuta come “La scandalosa”, che probabilmente era la più fedele rappresentazione del sogno dell’autore, che probabilmente rappresentava la raffigurazione di un amore o di una passione lontana, mai realizzata. La sintesi di una bellezza sofferente e poi la rivelazione dello “scandalo”, il no della Curia che rappresenta un brusco risveglio da quel sogno.

Antonietta Cozzoli ci racconta come lo scultore reagì malissimo a questa decisione dei clericali, volendo in un primo momento distruggere l’opera, rinunciando alla realizzazione di quel sogno. Fu poi ancora una volta il nipote Maurangelo a convincerlo a riprovarci e a trasformare quell’ideale di figura così potente a tal punto da essere scabrosa, nella malinconica ma fiera Maddalena che oggigiorno sfila in processione. Una storia appassionante, di arte, amori, passioni. Come quella che si nasconde dietro la realizzazione dell’opera ritraente il busto del dottor Pansini, in largo Sant’Angelo, commissionato dallo stesso medico come omaggio ad una sua amata. Si narra infatti, che lo sguardo del busto fissi esattamente la finestra della cameretta di una ragazza di cui era innamorato, ma il cui amore non fu destinato a sbocciare.

Non manca, infine, anche un Cozzoli ironico. Quello che prova a dipingere e a schernire i suoi contemporanei, firmandosi con lo pseudonimo “Vljokox”. Per parte della sua vita, realizzerà opere pienamente novecentesche, come “Picassianamente” o “L’uomo che ride”. Egli infatti affermerà: “Voglio dimostrare che io so fare ciò che fanno i miei contemporanei, ma loro non saranno mai in grado di fare ciò che faccio io”. Tutto questo era Giulio Cozzoli, la cui memoria oggi è relegata a pochi cliché, ma meriterebbe, almeno qui a Molfetta, ben altri approfondimenti e studi, per una delle figure più importanti del panorama artistico locale.

venerdì 15 Febbraio 2019

(modifica il 29 Luglio 2022, 5:52)

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