Attualità

Corrado La Forgia e la sfida della quarta rivoluzione industriale

Pasquale Caputi
Il riconoscimento del ministro Calenda a Corrado La Forgia
Molfettese, direttore industriale Bosch di Crema, fa parte della task force di Federmeccanica che si occupa di industria 4.0
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Sarà capitato a tutti di chiedersi, in un mondo che va a 1000 all’ora, come ottimizzare il proprio tempo. Come renderlo più efficace e produttivo. Come arrivare al cuore delle cose senza inutili circonlocuzioni. Ecco, chiunque abbia fatto i conti con quei desideri, ha semplicemente sognato di adattare alla propria vita i concetti chiave dell’industria 4.0.
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nChi ne sa, definisce  l’industria 4.0 la “quarta rivoluzione industriale”. Per intenderci, una rivoluzione paragonabile all’invenzione della macchina a vapore, alla diffusione delle teorie di Ford o all’introduzione dell’informatica. In sintesi, il trionfo della qualità del lavoro grazie all’aumento del valore aggiunto.
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nUn molfettese nel cuore della rivoluzione
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nPrima di entrare nel merito della questione, è bene condividere una premessa. In questo pezzo di futuro, che è fatto di idee innovative e macchine all’avanguardia, c’è un pizzico, e neanche piccolo, di Molfetta. Un molfettese, per la precisione. Corrado La Forgia è ingegnere meccanico, ha sempre lavorato in multinazionali nel settore automotive. Dal 2013 è direttore industriale Bosch di Crema e fa parte della task force di Federmeccanica che si occupa di industria 4.0. Un gruppo di persone, in altre parole, che sta cercando di cambiare il modo di pensare un’impresa.
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nSarà per questo che La Forgia ha di recente ottenuto un riconoscimento di prestigio: il premio innovazione Award 2016 dell’associazione industriali di Cremona. A recapitarglielo, direttamente il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.
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nCosa è l’industria 4.0
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nAlla base dell’industria 4.0 c’è una domanda: come fare i conti con la globalizzazione? Come aumentare la produttività delle aziende, alle prese con un mondo in repentina evoluzione?
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n“L’idea di base – spiega La Forgia – è togliere di mezzo tutto ciò che il mercato non ti paga. La fabbrica diventa intelligente grazie alla profonda automazione e interconnessione dei processi. E si badi bene: non c’è rischio alcuno per i lavoratori. Semplicemente il loro lavoro diventa più di qualità”.
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nTecnicamente si parla di “polarizzazione”. Nel medio lungo periodo, in altre parole, spariranno le attività considerate più fastidiose, a tutto vantaggio del lavoro di decisione e management, o di quello cosiddetto di prossimità.
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nIn altri termini tutto ciò che oggi consideriamo lavoro “meccanico” (anche la compilazione di un file excel o l’archiviazione e registrazione dei dati lo sono) sarà fatto da una macchina. L’uomo ci metterà la testa, per spiegare alla macchina come fare le cose.
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nUn lavoro di qualità
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nMa questo produrrà disoccupazione? È il dubbio strisciante, che va a braccetto con la paura di “perdere” competenze tradizionali e consolidate. Rassicuranti. “Non ci saranno – prosegue La Forgia – impatti negativi. Si pensi che nel 1900 negli Usa più del 40% della forza lavoro era dedicato all’agricoltura, ora lo è solo il 4%, ma il lavoro non è evaporato, è semplicemente cambiato. Inoltre l’uomo che ha più tempo libero ha più possibilità di pensare e generare nuove attività. Gli imprenditori sono spaventati perché non conoscono bene il processo. Pensano che quanto hanno imparato non serva più. Ma con alcune tecnologie abilitanti si può usare quello che c’è. Si possono ottimizzare gli impianti. E gli incrementi di produttività sono stimati del 20-30%”.
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nA livello nazionale, se ne sa poco. Alcune realtà si stanno muovendo, come il distretto della ceramica in Romagna. Ma in generale si va un po’ a rilento. Sarà per questo che l’idea è puntare forte sulle università. Queste, con il Politecnico di Bari in prima fila, dovranno diventare centri di eccellenza. Ogni regione per il suo centro di competenza. Per essere traino delle altre.
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nL’uomo al centro del mondo
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n“L’industria 4.0 è come – conclude La Forgia – un grande piano, dove tu puoi suonare diversi tasti. Senza paura.  Quando siamo passati dal telefono della Sip agli IPhone ci siamo accorti che era in atto una piccola rivoluzione, ma siamo stati bravi a gestirla. L’imprenditore può pensare in grande
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nNon solo lui, a dirla tutta. Perché il paradigma è applicabile ovunque. Alla redazione di un pezzo giornalistico per esempio. Si può restare “artigiani della scrittura”, facendo dieci telefonate in meno e perdendo meno tempo con fonti inaffidabili. Alla loro selezione (si pensi all’oceano di informazioni che provengono dai social o dal web) o persino alle telefonate, chissà, penserebbero le macchine. Noi ci metteremo la testa e il cuore. Perché al cuore, e all’uomo, convinciamocene, non si comanda. Utopia? Mica tanto.

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martedì 25 Ottobre 2016

(modifica il 30 Luglio 2022, 9:08)

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