“Black Lives Matter”.
Nella nostra lingua traducibile come “le vite dei neri contano”.
Queste sono tre parole che abbiamo letto e sentito spesso in questo periodo: mesi ricchi di azioni e reazioni.
“Black Lives Matter” è un movimento attivista nato in America impegnato nella lotta conto del razzismo, perpetuato a livello socio-politico, verso le persone di colore. Il movimento nato nel 2013, conosce riscatto in questo 2020. Un anno particolare, segnato anche dalle ultime e spregevoli vicende che hanno colpito il continente oltreoceano. Il motto del movimento è diventato virale.
La causa ha toccato anche l’Italia e con lei la nostra Molfetta non è rimasta esclusa, mostrando solidarietà e vicinanza.
Il razzismo esiste, inutile negarlo. Ben radicato nella società, come una pianta difficile da estirpare.
Un maschio in alcuni momenti latenti.
Una vicenda, pochi mesi fa, ha coinvolto direttamente l’Italia: Silvia Romano, volontaria in Africa, viene liberata dopo più di un anno e mezzo di reclusione. Torna in Italia convertita, indossando abiti islamici: la lieta notizia si trasforma in una pioggia di insulti e minacce.
La ragazza è per lo Stato che ha dato i natali, peccatrice. Di cosa? Aver cambiato religione.
Questo è razzismo: intolleranza religiosa.
Ma lo “scandalo” è allargato e non finisce per riguardare solo gli abiti che indossa, le problematiche richieste abbracciare molte altre idee stereotipate: “per aiutare non è necessario arrivare fino in Africa, anche qui in Italia c’è bisogno di aiuto”; “quelle sono zone pericolose, se l’è cercata”.
L’idea comune è quella seconda cosa, se si sente l’esigenza della tariffa del bene del prossimo, puoi tranquillamente farlo “a casa tua”.
A Molfetta sono tanti i ragazzi impegnati nella socialità con le associazioni di volontariato, sono tutti i ragazzi che vogliono del bene “a casa loro”. Sono quelli che vogliono fare del bene ai nostri anziani più bisognosi e lo fanno perché pervasi da un senso di responsabilità.
Anastasia Patimo, è una di loro. Giovane 22enne, tecnico della riabilitazione psichiatrica e da sempre volontaria del SER. Ma nell’agosto del 2018, il grande passo: il suo primo viaggio in Africa, a Nairobi, come volontaria per l’associazione Amani per l’Africa.
«È un fuoco che ti pervade e io l’ho assecondato – racconta la giovane volontaria – Quando decidi di spingerti fin lì, in Africa, significa che Il tuo lavoro come volontario è iniziato nella tua città».
Essere volontari è una scelta, metti da parte paura e diffidenza e lasci spazio a sentimenti opposti: idea di accoglienza e scambio reciproco. Nella tua terra, così come fuori dai confini di casa.
Anastasia fa un tuffo nel passato e con questi termini racconta la sua esperienza.
«Non deve esistere l’idea di aiuto unilaterale – spiega – in questo modo ti poni in una condizione di superiorità. Emotivamente loro hanno aiutato me, mi hanno donato tanto dal punto di vista umano. Sono tornata arricchita ».
I commenti, prima e dopo la partenza, anche nel suo caso non sono mancati.
«Non pretendo che tutti capiscano, vorrei solo che la scelta non venga giudicata – afferma – perché denigrare la scelta di una ragazza? Bisognerebbe astenersi da giudizi superficiali e poco profondi ».
Molfetta è parte di questo mondo e nel suo piccolo lo rispecchia a pieno, bellezze e disarmonie incluse.
Siamo parte di un tutto ed abitiamo la stessa casa: non dovremmo sentirci estranei.
A Molfetta il senso di responsabilità non è mai mancato.
Dobbiamo fare meglio, imparando a combattere una falange, proteggendo gli altri.