Cultura

“Il testamento di Don Liborio”, opera scomoda e senza compromessi

Luigi Caputi
Umberto Rey e Antonio Totagiancaspro
Domenica sera, nella sede del Circolo della vela Molfetta, Umberto Rey ha presentato pubblicamente il suo ultimo romanzo, pubblicato all'inizio del 2017
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Un’opera scomoda, che non chiede il permesso di dire la verità. Un libro che combatte contro ogni falso mito, svela impietosamente inquietanti retroscena sulla politica italiana degli ultimi due secoli. Il testamento di Don Liborio, padre d’Italia vuole essere una presa di coscienza e un atto di opposizione all’attuale situazione di precariato.

“L’aggettivo precario- afferma l’autore- deriva dal verbo latino precor, che significa pregare. Precario è colui che si è ridotto ad implorare, rassegnato a non potere e a dipendere dal potere altrui. Conoscere la storia del nostro Paese, sapere la verità, è il presupposto imprescindibile per non essere sottomessi. Si è indipendenti innanzitutto e soprattutto nel pensiero”.

Domenica sera, nella sede del Circolo della vela Molfetta, Umberto Rey ha presentato pubblicamente il suo ultimo romanzo, pubblicato all’inizio del 2017. L’opera discussa si è rivelata uno specchio in grado di riflettere la complessa e poliedrica personalità dell’autore. Parliamo di un intellettuale a tutto tondo, non inquadrabile entro un rigido schema politico-professionale, non rigorosamente classificabile in una singola categoria umana ed esistenziale. Lo scrittore vanta un’esperienza ventennale nel mondo del teatro e del cinema; oltre che letterato, è politico, storico e persino filosofo.

Le prime parole della serata sono state proferite da Antonio Totagiascaspro. “Per noi è un immenso onore – ha dichiarato il presidente del Circolo della vela- un estremo piacere, organizzare, ospitare, accogliere iniziative culturali come questa. Siamo orgogliosi di poter includere nella nostra collezione la preziosa presenza di Umberto Rey e del suo bellissimo romanzo. Alla passione per il mare e la navigazione, uniamo un entusiastico interesse per la politica, la letteratura, l’arte in ogni sua manifestazione”.

La scena è stata poi conquistata dal romanziere barese, dalla sua affascinante abilità retorica, dalla sua capacità “semi-ciceroniana” di insegnare, dilettare, commuovere l’uditorio. “L’ispirazione del Testamento di Don Liborio – ha esordito il carismatico scrittore- risale a due anni fa. Durante un talk show incentrato sul tema dell’Unità d’Italia, avvertii un urgente bisogno di indagare in profondità le superficiali storielle risorgimentali tramandate di generazione in generazione dalle istituzioni scolastiche. Il personaggio che dà il titolo all’opera è un uomo realmente vissuto nel secolo XIX, nato non lontano da qui, a Patù, vicino Santa Maria di Leuca. Dopo aver studiato giurisprudenza a Napoli, Don Liborio cominciò ad appassionarsi alle vicende carbonare, salvo poi ritrovarsi misteriosamente e paradossalmente insignito di una carica amministrativa nel governo borbonico. La sua figura ambigua e criptica, mi è sembrata l’ideale punto di partenza di un romanzo intenzionato a scavare nel mistero e nell’assurdo dell’Unità d’Italia”.

Dei quattro capitoli totali, a Don Liborio è dedicato soltanto quello iniziale: si racconta del testamento spirituale e veridico rilasciato dal politico salentino nel 1866 (un anno prima della sua morte), nella sua città natale e in presenza del professore Bedin e del notaio Margiotta. I nipoti di questi ultimi due fondamentali testimoni di Don Liborio sono i veri protagonisti del resto della vicenda.

La storia unisce passato risorgimentale e attuale presente, ponte di collegamento tra due “Italie” distanti cronologicamente ma sostanzialmente identiche. “L’obiettivo del romanzo- ha sostenuto l’autore- è quello di schiudere gli occhi ciechi di chi continua a celebrare il mito dell’Unità d’Italia e della lotta garibaldina. Intendo decostruire criticamente la storia inventata dai vincitori e ricostruire dalle fondamenta la coscienza critica dei vinti. I vinti siamo noi italiani, ancor di più noi meridionali. Lo spirito antiborbonico è stato strumentalizzato dai Savoia e dalle potenze europee. Quanto accaduto nel 1861 è stato voluto da alieni inglesi, francesi, russi, asburgici. Questi ultimi sentivano di dover equilibrare la situazione politico-economica mediterranea, di dover evitare che si creassero pericolose egemonie in una zona strategicamente così importante. Garibaldi, Cavour, Vittorio Emmanuele II, erano niente più che pedine manovrate da giganti stranieri, uomini soli e non del tutto convinti delle manovre politico-militari cha andavano compiendo. A ben vedere, oggi non ci troviamo di fronte ad una realtà diversa. L’Italia continua a essere una colonia europea”.

L’intellettuale barese ha inoltre evidenziato come la nazione italiana sia nata grazie ad un patto Stato-mafia ante litteram. I Savoia, a suo dire, delegarono funzioni di governo, amministrazione, polizia e controllo militare alle famiglie nobili, ai potentissimi baroni dell’ex regno borbonico. “Una massa di delinquenti – ha detto ancora l’autore- di picciotti e briganti, si ritrovò improvvisamente trasformata in organizzazione criminale istituzionalizzata e legittimata politicamente. L’attuale difficoltà economico-politica ha radici piantante proprio su questo terreno di asservimento di un intero paese alle brame di potere dei Savoia”.

La nostra crisi, secondo Rey, non è soltanto il non trovar lavoro, il non nutrire speranze per il futuro. È innanzitutto e principalmente l’incapacità di giudizio, l’indifferente e indiscriminata accettazione di tutto ciò che ci viene detto e fatto. “Diffidate da chiunque si proponga come detentore della verità, anche dal sottoscritto che vi sta parlando in questo momento – ha proseguito il romanziere- Ciò che si conosce spesso equivale soltanto a ciò che si vuole che sia conosciuto. La storia risorgimentale è stata scritta dai vincitori, da chi ha sotterrato il sangue versato dai nostri antenati meridionali. La nostra unificazione nazionale è stata oggetto della più grande messinscena della storia dell’umanità. Una conquista militare è passata, e continua a passare, per rivoluzione popolare. Il mio romanzo è alternativa avvincente e intrigante alla piatta e schematica trattazione storico-saggistica. Il mio racconto è viaggio, scavo nel tempo e nello spazio, ed è anche ricostruzione, restauro del vero.” È labile il confine che separa romanzo e realtà storica. Spesso il primo contiene e racconta più verità della seconda. Ruota attorno a una simile convinzione l’universo-testamento di Umberto Rey.

martedì 7 Novembre 2017

(modifica il 29 Luglio 2022, 21:19)

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