Cultura

Ieri grande successo per “Uno nessuno centomila”

Luigi Caputi
Uno nessuno centomila
L'attore Lo Verso e l'eterno monologare di Luigi Pirandello
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Ha vissuto e intero, non in sé, main ogni cosa e persona fuori. È entrato in sintonia con il pubblico molfettese sin dall’epifanico incipit del suo adattamento teatrale, ha ricomposto i centomila e più frammenti di vita presenti all’Anfiteatro del Mare in una forma teatrale mai morta. Del resto, lo stesso Pirandello aveva considerato l’arte, tanto più quella scenica, unica possibilità di risoluzione, di sintesi, delle sue molteplici antitesi esistenziali e filosofiche. Ieri sera Enrico Lo Verso è asceso al palcoscenico di Ponente e si è esibito in uno spettacolo partorito tre anni or sono dalla regia e dalla penna di Alessandra Pizzi: “Uno, nessuno e Centomila”. Dopo un’assenza durata circa un decennio, ecco che negli ultimi tempi l’attore cinematografico palermitano è tornato a cimentarsi nel teatro.

La Puglia ha ispirato e ospitato questo ritorno; dopo Lecce, anche Molfetta è entrata a far parte di una storia personale e culturale destinata a lasciare dietro di sé ulteriori pagine di indiscutibile valore. L’espressività linguistica e mimica, garantita dal ricorso ad un italiano siciliano tutt’altro che controllato sul piano della dizione, ha aggiunto un quid di autenticità e originalità ad un’operazione, quella di adattamento drammaturgico del romanzo pirandelliano pubblicato nel 1925, di per sé linearmente consequenziale alla natura dell’opera originale. Una narrazione monologica incentrata sulla scissione del protagonista in molteplici Io si presta spontaneamente alla recitazione. Tutto parte, così come è partito ieri e partirà sempre, dal dettaglio espressionistico, dalla deviazione rispetto alla norma, dalla pendenza verso destra di un naso scoperta casualmente. “Che fai”? ha esordito Lo Verso nelle vesti di Dida, moglie di Gengè. Una domanda emblematica che non riceverà risposta e che anzi si tramuterà in indagine sul chi sei, chi sono, chi siamo di Vitangelo Moscarda.

Di fronte allo specchio avviene uno sdoppiamento irreparabile e irreversibile, anzi destinato a moltiplicarsi, tra il come ci si vede e il come gli altri ci vedono. Lo spettacolo è proseguito con il riferimento alla solitudine, oggetto del desiderio del protagonista all’indomani della perdita dell’identità. “La solitudine- ha proferito Gengè-Lo Verso- non è mai con voi; è sempre senza di voi, e soltanto possibile con un estraneo attorno: luogo o persona che sia, che del tutto vi ignorino, che del tutto voi ignoriate, così che la vostra volontà e il vostro sentimento restino sospesi e smarriti in un’incertezza angosciosa e, cessando ogni affermazione di voi, cessi l’intimità stessa della vostra coscienza”. Scoperto un sé diverso da quello fissato nella propria mente, considerato quest’ultimo come un estraneo qualunque, diventa possibile esser soli e vedersi vivere, interrompere l’ipocrisia dell’esistenza. Diviene poi doveroso analizzare il rapporto con i parenti, capire quanta differenza intercorra tra la nostra loro immagine e la rappresentazione che di loro hanno tutti gli altri. Senza contare il fatto che la vicinanza affettiva o genetica non attenua l’effetto straniante della scoperta di non essere uno e uno solo per tutti. Il Gengè di Dida è ben diverso da quello di Vitangelo. Il padre del protagonista, se da un lato appare agli occhi del figlio come fortunato banchiere, risulta al di fuori della famiglia un usuraio senza scrupoli. Di qui il desiderio di privarsi del cognome, dell’eredità paterna, del marchio più grave e indelebile. Non più Moscarda, niente più attrazione verso il basso con volo abietto; all’opposto aspirazione Vit-angelica alla comunione con il Tutto.

Lo Verso ha inscenato quindi la parte centrale del romanzo, con particolare enfasi posta sullo sfratto benevolmente inflitto dal protagonista al mal capitato Marco di Dio, debitore del padre e degli amministratori Firbo e Quantorzo. Cacciare una disgraziata famiglia da una casa in affitto e consegnarle la propria abitazione significa uscire elegantemente ma violentemente dal proprio destino. Significa anche conquistare l’etichetta del folle. Ciò determinerà la fuga della moglie con annesso divorzio e porterà all’incontro con Annarosa, ulteriormente distruttivo dell’unità e sanità e integrità dell’autore del monologo. Le scene di dialogo con il giudice e con il vescovo, all’indomani dello sfiorato omicidio di Vitangelo per mano della sua nuova amica, sono state rapidamente attraversate, sempre tenute insieme dal monologare alterno dell’attore-personaggio. Toccante è stata quindi la non conclusione, incentrata sull’assunto secondo cui la vita non conclude a differenza dell’opera. “Ringrazio Alessandra Pizzi- ha affermato al termine della performance Lo Verso- senza di lei non avrei mai trovato la forza e la voglia di tornare su un palcoscenico. Ringrazio anche un ragazzo siciliano, mai conosciuto di persona, che ha aiutato Alessandra a scrivere il testo che io ho interpretato, Luigi Pirandello” I nomi sono considerati, in “Uno, nessuno e centomila”, epigrafe funeraria, sinonimi di morte. Ne esistono tuttavia alcuni che, per quanto epigrafici, sanno volare artisticamente, come Vitangelo internato in ospizio o il suo autore o l’attore palermitano ieri esibitosi a Molfetta; capaci di muoversi, rinascere e rivivere ogni qualvolta sono chiamati in causa.

mercoledì 7 Agosto 2019

(modifica il 29 Luglio 2022, 0:49)

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